Ucraina: riesplode violento il conflitto a Donetsk
Nella notte fra il 12 e il 13 gennaio, si sono accesi nuovamente pesanti scontri fra le Forze Armate ucraine (Fau) e le milizie della Repubblica di Novorossya per il possesso dell’aeroporto Sergeij Prokofiev presso Donetsk. È la terza volta che i filo-russi tentano di strapparlo ai governativi: ci hanno già provato a marzo e fra settembre e dicembre con battaglie sanguinose che hanno provocato la distruzione dell’infrastruttura. Adesso le milizie ci ritentano da sud e da est, con un massiccio fuoco d’artiglieria e di razzi contro le residue unità ucraine, asserragliare da oltre un mese fra le rovine dei terminal e prive da tempo di regolari rifornimenti.
Nonostante la tregua siglata a Minsk non sia stata mai osservata, e da allora i morti si siano contati a centinaia dall’una e dall’altra delle parti, questo attacco costituisce la più palese violazione di quegli accordi ed ha avuto, come effetto immediato, la cancellazione del vertice di Astana, dove rappresentanti di Germania, Francia, Russia e Ucraina dovevano riunirsi per cercare una soluzione a una crisi di cui non s’intravede fine.
I filo-russi hanno concentrato per l’attacco circa 800 miliziani provenienti dalle loro unità migliori come la Brigata Somalia, la Brigata Sparta, il Battaglione Internazionale (che inquadra serbi, bielorussi e armeni) e gruppi di “volontari” russi, che hanno a disposizione decine di lanciarazzi Grad oltre che carri T-72 e T-64. A difesa dell’aeroporto ci sono circa 350 militari ucraini provenienti da diversi reparti della Guardia Nazionale, Forze Speciali, Truppe Meccanizzate e Corazzate.
Malgrado sia ormai distrutto e inusabile come scalo, il Sergeij Prokofiev ha un valore strategico e politico essenziale: la sua conquista garantisce il controllo della principale arteria che conduce a Donetsk; se i filo-russi lo prenderanno, apriranno quella via indispensabile e allontaneranno il fronte dei combattimenti dai sobborghi della città. Tuttavia, è assai più grande il suo valore propagandistico e politico, in quanto, per le due parti, rappresenta il simbolo della resistenza dei governativi alla controffensiva filo-russa; la sua caduta avrebbe un contraccolpo pesantissimo sia per il vertice politico di Kiev, sia per il morale, già basso, delle sue Forze Armate.
Poroshenko e Yatsenyuk sarebbero messi in grave difficoltà da un’opinione pubblica ucraina sempre più polarizzata e sarebbero costretti a una ripresa delle ostilità in larga scala, con tutte le disastrose conseguenze sia per l’Ucraina (che è sempre meno in grado di sostenere un confronto armato sempre più costoso in termini economici e umani) che in ambito internazionale (con l’aggravarsi di una crisi che ha già scavato fossati profondi e che potrebbe condurre ad esiti impensabili).
Questo scenario, con le possibili conseguenze, è ben chiaro ai vertici di Novorossya, contrari ormai ad ogni possibilità d’accordo, che cercano una soluzione militare contro un avversario sempre più indebolito; ma lo è pure per chi li sostiene, che vuole guadagnare sul campo qualcosa d’importante da buttare sulla bilancia per compensare l’attacco economico, finanziario e petrolifero che sta mettendo la Russia in difficoltà.
Ultima notazione: non è un caso se, come già accaduto in passato (vedi la punizione della Georgia nel 2008 per l’Ossezia del Sud), la recrudescenza improvvisa degli scontri sia avvenuta mentre le cancellerie e i media di tutto il mondo erano focalizzati altrove (i fatti di Parigi). Questo permetterà ai vertici dei filo.russi, e ancor più al Cremlino, di sondare le eventuali reazioni senza i riflettori addosso e decidere di conseguenza i passi successivi.