Un “califfato” in stile Isil nella nuova strategia di Boko Haram
Negli ultimi mesi, le cronache africane sono state sempre più spesso punteggiate dai massacri compiuti dalle bande di Boko Haram. Fino ad agosto i terroristi avevano mantenuto un sanguinario programma di destabilizzazione fatto di assassinii, attacchi “mordi e fuggi” e attentati suicidi, che avevano terrorizzato la popolazione e ridotto a zero la sicurezza nelle aree del Nord-Est della Nigeria; col 20 agosto, in un dichiarato tentativo di emulare l’Isil, hanno cambiato strategia.
Quel giorno, un concentramento di almeno 2.500 miliziani ha attaccato i grossi centri di Gwoza e Chibok (circa 600mila abitanti fra i due) e diversi altri villaggi nella zona di confine col Cameron, mettendo in fuga i militari del Governo e dichiarando la nascita d’un sedicente “califfato” con capitale a Gwoza, per l’occasione ribattezzata “Madinatul”.
Nelle settimane successive Boko Haram ha moltiplicato gli attacchi, giungendo a controllare un’area superiore all’intero Nord Italia. L’offensiva è continuata giungendo ad investire due grosse città come Damaturu (750mila abitanti) e addirittura Maiduguri (1.200mila), capitale dello Stato del Borno, luogo sacro per la setta che lì è nata nel 2002; ma a questo punto la strategia dei terroristi ha mostrato i suoi limiti.
Le forze di sicurezza stavolta non sono state travolte e hanno resistito permettendo allo Stato Maggiore nigeriano d’organizzare una massiccia controffensiva, che non solo ha rotto l’assedio mettendo in fuga le bande dei terroristi, ma ha riconquistato molte delle città e villaggi che avevano occupato, lasciando in loro mano solo Gwoza e una serie di piccoli centri presso i confini col Cameron, il Ciad e il Niger, ove hanno i loro “santuari”.
Per compensare il fallimento del progetto di creare un’entità da loro governata in stile siro-iracheno, da ottobre le bande hanno lanciato una serie di sanguinosi attacchi indiscriminati contro obiettivi di alto valore simbolico sia nazionale che, e questa è una novità rimarchevole, internazionale. Per tutti valga l’azione del 30 novembre contro la Moschea Centrale e il vicino palazzo dello Sceicco di Kano, Mohamed Sanusi, una delle massime autorità religiose islamiche della Nigeria, che si è speso più volte per smascherare la finzione della motivazione religiosa dei terroristi, che nulla hanno a che vedere con l’Islam.
Dalla dinamica dei fatti vengono confermate alcune notazioni importanti, che già avevano evidenziato in precedenti articoli: Boko Haram ha provato a replicare la strategia dell’Isil per scardinare la Nigeria ma (almeno per adesso) ha fallito; nell’insuccesso della sua offensiva ha avuto un ruolo importante la resistenza della popolazione organizzatasi in “Forze di Autodifesa”, gruppi paramilitari costituiti fra chi ha subito la violenza folle della setta.
Il gruppo terrorista continua infatti a mantenere non solo una linea d’azione ottusamente sanguinaria contro chi non è affiliato ad essa, ma indiscriminatamente contro ogni altra etnia che non sia la Kanuri, quella del Nord-Est presso cui è nata. Questa marcata caratterizzazione tribale, e la violenza verso gli altri gruppi e clan anche se musulmani, limitano enormemente le potenzialità offensive e lo sviluppo dell’insorgenza assai più della reazione delle forze di sicurezza, perché hanno alienato il consenso delle altre popolazioni che compongono il frastagliatissimo mosaico nigeriano.
Malgrado la totale assenza dello Stato Centrale, presente solo per lo sfruttamento più sfrenato, la corruzione più totale e le vessazioni pesantissime esercitate dai suoi rappresentanti, è praticamente impossibile che i terroristi possano attuare uno stabile controllo del territorio al di là delle zone popolate dai Kanuri. Il discorso cambierebbe completamente, e con risultati disastrosi per il Governo, se la setta cambiasse strategia rivolgendosi a tutte le etnie nigeriane, in un attacco contro il sistema quale è.
È quanto da tempo vanno sostenendo personaggi come Mohamed Nur o Khalid al Barnawi, già luogotenenti di Abubakar Shekau; al Barnawi, staccandosi da Boko Haram, da tempo ha fondato un gruppo terrorista suo, l’Ansaru; se dovesse rompere gli indugi, nella situazione di totale sfacelo, disfacimento e sopraffazione della Nigeria, l’insorgenza potrebbe diffondersi come fuoco nella savana. E un altro Stato in bilico cadrebbe per gli ignobili interessi intrisi di petrolio e gas di chi tira le fila della destabilizzazione nel mondo.