Norman Atlantic, l’ennesima catastrofe tutta italiana
Col passare dei giorni, la tragedia del traghetto Norman Atlantic ha preso i connotati d’un inestricabile groviglio di omissioni, negligenze e ritardi che ha spinto gli inquirenti ad accendere finalmente i riflettori su un andazzo di traffici illegali o quantomeno equivoci.
Nella vicenda troppe cose non tornano: discrepanze fra i registri d’imbarco e le presenze a bordo; ritardi inammissibili nel dare l’allarme ai passeggeri; la sospetta rapidità nel propagarsi delle fiamme; il mancato ammaraggio delle scialuppe (di quattro solo una è stata calata e con un terzo del carico possibile); le certificazioni, rilasciate al traghetto malgrado pochi giorni prima un’ispezione avesse rilevato numerose irregolarità nelle dotazioni di bordo e così via. Da ultimo, il tentativo dell’armatore di far trainare il relitto in Albania invece che in Italia, fallito con la morte di due marinai d’un rimorchiatore albanese. Il capitano, che almeno questa volta è rimasto a bordo, in un lunghissimo interrogatorio ha tentato di dare risposte ai vari interrogativi, ma sembrano tutt’altro che sufficienti per gli inquirenti.
Probabilmente non sapremo mai quante vite si sono perse in quel rogo o inghiottite dal mare, di clandestini ce ne dovevano essere tanti mescolati ai passeggeri e soprattutto fra le centinaia di mezzi stipati nella stiva; quello che va emergendo con chiarezza è un quadro squallido fatto di sporchi traffici e di controlli quantomeno superficiali se non peggio, su una tratta, quella Patrasso–Ancona, che meriterebbe la massima attenzione.
Al solito s’è già tentato di deviare l’attenzione con la riuscita delle operazioni di salvataggio: d’accordo, le condizioni erano estreme e la professionalità di chi è giunto lì ad operare è stata massima. Peccato che, per le solite disfunzioni e bizantinismi tutti italici, la macchina dei soccorsi si sia mossa con ore di ritardo. E beninteso, in questo non c’entra nulla chi è andato lì a rischiare per salvare gente, ma chi di quella macchina ha la responsabilità.
Sarà un’indagine lunga, combattuta fra perizie e contro perizie che affermeranno e negheranno ogni cosa, restano i morti. Questa è l’ennesima tragica vicenda in cui è la Magistratura a dover intervenire per tentare di fare chiarezza su fatti quanto meno opachi, gettando luce sotto la facciata d’una regolarità formale troppo facile da conseguire.
È un cancro antico del nostro Paese quello della forma che cela le magagne, anche le più sporche, finché una tragedia non le svela, lasciando le vittime a piangere e il cerino in mano all’ultimo della catena.