Ucraina: dopo la montatura Euromaidan arriva anche il governo made in Usa
Se qualche inguaribile ingenuo si ostinava a nutrire ancora qualche dubbio su chi ci fosse dietro alla crisi ucraina, ha pensato il presidente Poroshenko a dissiparlo con la composizione del nuovo governo varato il 2 dicembre: all’Economia c’è Aivaras Abramavicius, un lettone; alle Finanze Natalia Jaresko, un’americana; alla Sanità (uno dei settori più corrotti) un georgiano, Alexander Kvitashvili. E non saranno i soli: circa 25 altri stranieri serviranno nei vari Ministeri ai più alti livelli; sono stati selezionati da agenzie internazionali con un’operazione pagata a pié di lista dalla Reinassance Foundation, uno dei gruppi della Soros Foundation (per rinfrescare la memoria, la Soros Foundation fu, per stessa ammissione di Soros, uno dei gruppi più attivi a organizzare e sostenere il golpe orchestrato da Washington nel febbraio scorso).
Nel nuovo esecutivo c’è un’altra novità: il Ministero dell’Informazione, creato per “controllare” le notizie e l’operato dei media; a questo s’affianca la disposizione di una “scorta” obbligatoria per tutti i giornalisti che si recano al fronte, ufficialmente (ma neanche tanto) per la loro sicurezza, nell’ovvia realtà per evitare che attingano notizie e testimonianze “sgradite”. Il Ministero andrà a Yuriy Stets, un uomo del Presidente.
Gli altri posti che contano, Esteri, Interno e Difesa, rimangono agli antichi Ministri, garantendo la continuità della sciagurata gestione della crisi a chi tira le fila da oltre Atlantico; unica variante d’azione sarà prescritta ai ministri dell’Interno e della Difesa, chiamati a gestire i rapporti fra Esercito e milizie paramilitari armate dagli oligarchi. Nei disegni del nuovo Governo (e di Washington) il potere degli oligarchi (che rimarranno, ci mancherebbe!) va ridimensionato e ricondotto all’interno dei programmi dell’Esecutivo (e di chi gli detta le regole da fuori dell’Ucraina).
La rottura eclatante che si prepara è nella gestione dell’economia che al momento va letteralmente a rotoli, con meno 7 punti di Pil nel 2014, una svalutazione galoppante, riserve valutarie praticamente azzerate e i capitali in fuga. Il sistema economico ucraino è da sempre paralizzato dal fatto che tutto è in mano agli oligarchi, che lucrano spudoratamente su ogni attività, determinando una corruzione cronica e un apparato produttivo inefficiente.
A Kiev, per evitare la bancarotta immediata, servono almeno una dozzina di Mld di dollari in più rispetto a quanto promesso dal Fmi e dagli altri “donatori” internazionali più o meno interessati; per farli arrivare (ammesso che arrivino) occorre che le leve di potere siano saldamente in mano di chi potrà sfruttare a ufo il proprio investimento. In parole povere, fino ad oggi gli oligarchi hanno fatto e sfatto come hanno creduto, in futuro potranno continuare a ingrassare, certo, ma nel quadro disegnato dai potentati che hanno investito per assicurarsi il dominio sull’Ucraina.
Dominio ferreo sull’economia, sudditanza completa agli interessi esterni e soprattutto d’oltre Atlantico, controllo capillare sull’informazione: è un regime che s’instaura a Kiev; per il Popolo ucraino restano pochi slogan triti e ritriti e la bandiera d’un nazionalismo vuoto e straccione. È questo l’epilogo della montatura di Euromaidan.