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Egitto: manifestazioni dell’opposizione soffocate nel sangue

di Cristina Amoroso

Continuo il pugno di ferro del regime militare egiziano del generale al-Sisi, nei confronti di tutte le opposizioni attive nel Paese. Migliaia di manifestanti venerdì scorso sono scesi in strada al Cairo per protestare contro  il governo del presidente Abdel Fattah al-Sisi e contro il pugno duro dell’esecutivo verso l’opposizione. In vista delle proteste, la polizia egiziana ha arrestato più di cento presunti membri della Fratellanza Musulmana con l’accusa di pianificare manifestazioni violente dopo la preghiera del venerdì.

Le forze di sicurezza egiziane erano già state dislocate nei punti chiave in tutto il Paese e si sono subito mosse per impedire i piccoli raggruppamenti che prendevano corpo fuori dalle moschee. Nel quartiere di Matariya al Cairo, almeno tre persone sono state uccise quando i manifestanti si sono scontrati con la polizia.

In precedenza, il ministro dell’Interno Mohamed Ibrahim aveva avvertito che le forze di sicurezza avrebbero usato tutti i mezzi per contrastare i cosiddetti incitamenti, aggiungendo che i soldati erano stati autorizzati a usare la forza letale per contrastare qualsiasi attacco contro il patrimonio pubblico.

Il governo egiziano ha finora imprigionato più di 15mila sostenitori dell’ex presidente, Mohamed Morsi, da quando l’esercito lo ha rovesciato nel luglio del 2013. Morsi attende ancora diverse prove che, se riconosciuto colpevole, possono portarlo alla pena di morte. Gruppi per i diritti umani sostengono che circa 1.400 persone sono state uccise, 22mila arrestate e circa 200 sono state condannate a morte dalla cacciata di Morsi.

Due ore prima dell’inizio delle manifestazioni uomini armati non identificati hanno ucciso due ufficiali e ferito un paio di soldati nella capitale egiziana. Secondo un comunicato dell’esercito, gli assalitori alla guida di un veicolo senza targa hanno ucciso due ufficiali superiori e ferito un paio di soldati fuori da un albergo nella zona orientale al Cairo.

Nessuna persona o gruppo ha ancora rivendicato l’attentato. Le forze di sicurezza egiziane hanno subito vari attacchi armati dopo la cacciata del primo presidente democraticamente eletto della nazione, Mohamed Morsi, nel mese di luglio 2013, a cui è seguita una repressione brutale dei sostenitori del suo movimento dei Fratelli Musulmani.

Molti degli attacchi dei militanti, che portano i tratti distintivi del cosiddetto gruppo Ansar al-Beit Maqdis, hanno avuto luogo a nord della penisola del Sinai, dove è stato dichiarato lo stato di emergenza nella parte settentrionale della penisola, dopo che un attacco dei miliziani contro un checkpoint dell’esercito egiziano, il 24 ottobre scorso, ha ucciso più di 30 soldati.
Ai residenti che vivono lungo il confine tra il nord del Sinai e la Striscia di Gaza è stato ordinato di trasferirsi. Così gli abitanti di Rafah, che vivono nel Sinai egiziano, sono sfollati, dopo che le loro case sono state rase al suolo e le piantagioni di ulivo distrutte per la creazione di una zona cuscinetto, che comporterà la distruzione di più di 800 abitazioni e l’espulsione di circa 1100 famiglie.

La zona cuscinetto dovrà preservare la sicurezza nazionale del Paese egiziano ma soprattutto assecondare le politiche israeliane sulla regione, tese a soffocare sempre di più la sopravvivenza dei palestinesi di Gaza.

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