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Dai Balcani in Siria e Iraq, per combattere con lo Stato Islamico

di Cristina Amoroso

L’Islam, presente nei Balcani con circa otto milioni di fedeli, rappresenta da secoli una parte importante della storia europea. Oggi comunità diverse, per lingua e tradizione, si trovano a confrontarsi con le pressioni del radicalismo.

In particolare il wahabismo, una forma fondamentalista di Islam prevalente in Arabia Saudita, è stato attivamente propagato all’interno delle comunità islamiche della regione nel corso degli ultimi 20 anni, sia dai gruppi umanitari (soprattutto sauditi) che da nativi del posto, di ritorno da studi religiosi nel Medio Oriente. Nathalie Clayer, studiosa dell’argomento, che lavora per il Consiglio nazionale francese delle ricerche, ha dichiarato già nel 2002 alla testata giornalistica italiana online Osservatorio sui Balcani che questa duplice via di ingresso, attraverso le organizzazioni umanitarie e gli studenti ritornanti, era “una delle caratteristiche più interessanti dell’evoluzione dell’Islam nei Balcani negli ultimi anni”, che aveva portato ad una sua “trasformazione profonda”.

Sta di fatto che il radicalismo è diventato un fenomeno sempre più in crescita, rimesso al centro del dibattito dalle notizie provenienti dai Balcani. Dal Kosovo, dove a fine agosto le istituzioni di Pristina hanno attivato un’ampia operazione anti-terrorismo per arginare la diffusione di terrorismo e radicalismo religioso e il convolgimento di albanesi kosovari nei conflitti in corso in Siria e Iraq. In una maxi retata sono state arrestate 40 persone sospettate di legami con organizzazioni estremiste come l’Isis e al-Nusra; il 17 settembre le autorità di sicurezza hanno eseguito altri arresti eccellenti tra i quali 12 imam di note moschee di Pristina e Mitrovica, sospettati di reclutamento di militanti per combattere a fianco dei gruppi terroristici in Siria e in Iraq.

In Macedonia i media hanno recentemente riportato la notizia della morte di Bashkim Bela, giovane ventitreenne di Skopje durante i combattimenti in Siria. Si tratterebbe del sesto caso in tre anni di un cittadino macedone che perde la vita in Siria combattendo a fianco dei “ribelli”. Secondo alcune stime sono almeno trenta i cittadini macedoni e albanesi che starebbero combattendo nella guerra in Siria. I numeri sembrano essere in crescita.

La situazione non è molto diversa negli altri Paesi balcanici che ospitano comunità musulmane numerose. L’Albania, il Kosovo, la Bosnia Erzegovina e la Serbia (soprattutto la regione meridionale del Sangiaccato) hanno tutti confermato la morte di propri cittadini in Siria. Secondo alcune fonti, in tre anni sarebbero stati uccisi in Siria circa 30 albanesi, 11 bosniaci e quattro serbi.

Anche se i musulmani dei Balcani sono considerati da alcuni come la più moderata delle popolazioni musulmane nel mondo, una minoranza esigua è stata manipolata e fuorviata. La figura di Lavdrim Muhaxheri può essere considerata un emblema degli ultimi anni di storia balcanica. Indicato come comandante di una sedicente “brigata balcanica” dei tagliateste dell’Isis, spopola sul web anche dopo l’annuncio della sua presunta morte a fine agosto da parte della televisione curda, per le ferite riportate negli scontri con le forze di difesa curde. Avrebbe avuto ai suoi ordini miliziani da Serbia, Albania, Macedonia, Kosovo, Montenegro e Bosnia. Dalla città natale di Kacanik in Kosovo si è unito alla guerra in Siria dove ha commesso crimini brutali, attirando l’attenzione dei media a fine luglio quando ha postato le foto su Facebook che lo mostra nell’atto della decapitazione di un diciannovenne prigioniero siriano e poi con la testa mozzata fra le mani. In un’intervista pubblicata dal quotidiano di Tirana Dita successivamente, Muhaxheri ha dichiarato che non ha fatto nulla di più di quello che i membri del Kla hanno fatto durante il conflitto in Kosovo. I media a Pristina riferiscono che prima di combattere in Siria e in Iraq, Muhaxheri, ha lavorato per le forze americane della Kfor a Camp Bondsteel in Kosovo, e per la Nato in Afghanistan.

In Bosnia-Erzegovina dopo l’accordo di Dayton che diede fine alla guerra nel dicembre 1995, molti combattenti non sono stati allontanati dal Paese ma sono rimasti creando un’ intera infrastruttura, che sostiene la causa estremista militante. In Macedonia, gli estremisti di credo “wahabiti” sono impegnati da tempo in una guerra contro la comunità ufficiale musulmana per prendere il controllo di alcune moschee a Skopje, ma si sono infiltrati anche nelle istituzioni politiche, religiose e sociali. Una regione, quella balcanica occidentale, che durante la dominazione ottomana forniva soldati o mercenari per le guerre in Medio Oriente, ora nel XXI secolo, con l’aiuto delle fondazioni di beneficienza saudite, arruola miliziani, nati e cresciuti negli orrori delle guerre balcaniche per combattere con lo Stato islamico, alla ricerca della propria identità perduta e di una solida manciata di dollari. Ciò non è un caso. La crescita del radicalismo nei Balcani occidentali è il risultato di sforzi a lungo termine di persone legate al filo del terrorismo e che hanno radicalizzato frange della popolazione locale, approfittando della disgregazione della ex-Yugoslavia, investendo sui giovani poveri dei villaggi, aprendo piccole madrase, ma anche dando borse di studio per l’Arabia, la Libia, l’Egitto e la Siria, in linea con la storia politica della regione.

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