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Crisi ucraina e il fallimento della “Dottrina Obama”

di Salvo Ardizzone

La guerra e l’invasione di Paesi esteri sono “la costante geopolitica degli Stati Uniti”: sono parole di Dean Rusk, Segretario di Stato dell’Amministrazione Kennedy; ciò che è avvenuto dopo non ha fatto che avvalorare quella tesi, per tutte basta ricordare le sciagurate imprese dell’era Bush. Nella sostanza, gli Usa non si sono mai curati più di tanto di sviluppare strategie per risolvere una crisi senza l’intervento militare; lo hanno considerato alla stregua di un normale strumento per raggiungere obiettivi anche politici, o tutelare quelli che ritenevano essere loro interessi. 

All’inizio della sua Amministrazione, si parlò molto della cosiddetta “Dottrina Obama” che, a parole, intendeva staccarsi da quella prassi; in realtà la sostanza era molto semplice, il nuovo Presidente s’era reso conto di alcune cose: prima di tutto erano profondamente cambiate le condizioni geopolitiche nel mondo, e gli Usa non potevano più permettersi di agire come prima; in secondo luogo, quelle guerre costavano un’enormità, e né i cittadini americani, né il Tesoro Federale, potevano più permettersele a cuor leggero. Restava però, indiscussa, la volontà d’esercitare un’egemonia globale, e per questo, di evitare che una qualunque Nazione potesse emergere in autonomia in uno scacchiere, o si creassero alleanze strategiche da cui gli Usa fossero esclusi. 

Per perseguire questi scopi ritenne che lo strapotere del dollaro e della finanza, la (presunta) capacità di conoscere e anticipare gli eventi nel mondo (vedi Datagate) e la potenza dei media al servizio della propaganda americana, fossero più che sufficienti ad esercitare un soft-power assai più economico ed efficace degli strumenti del Pentagono, che comunque rimaneva alle spalle qualora il gioco si fosse fatto troppo duro.   

In Ucraina Obama volle intervenire: la Russia aveva mostrato troppo attivismo, aveva giocato in proprio in Siria, in Egitto, nell’affare Snowden, mettendo gli Usa più volte in imbarazzo, e stava allacciando rapporti troppo stretti con diversi Paesi europei, soprattutto con la Germania, che aspirava a una egemonia sull’Est Europa e a rapporti paritari col Kremlino. 

L’operazione, un mix di disinformazione sui media, azioni “coperte” dei servizi per pilotare minoranze d’attivisti e manovre della finanza, riesce alla grande: a Kiev, un autentico colpo di Stato attuato da una folla manipolata fa saltare gli accordi fatti fra gli europei e Putin e s’instaura il governo voluto da Washington; l’Ucraina sbatte la porta in faccia a Mosca e Berlino è costretta ad allinearsi. Resta però da gestire il dopo, e qui per gli Usa cominciano i problemi. 

Nel piano originale era previsto che gli Europei, pressati dalla tensione creata con la Russia, si facessero carico delle spese di una Nato proiettata a Est, fin sulle soglie di Mosca, scaricando su di loro i costi di una contrapposizione funzionale a Washington; ma con la crisi economica in corso, malgrado gli stimoli e i rimbrotti, la risposta corale è stata un no. Allo stesso modo, attizzando il livello del confronto e sabotando ogni occasione d’accordo ragionevole tutte le volte che Putin faceva un’apertura, Obama ha puntato a sanzioni che mettessero in crisi la zoppicante economia russa, facendone pagare il costo agli Europei. Anche in questo caso, però, la risposta è stata tutt’altro che entusiasta; ad eccezione di alcuni Stati, Polonia e paesi Baltici in testa, persi dietro sogni di rivalsa su Mosca, son stati molti quelli che hanno frenato: Germania, Francia e l’Italia a seguire. A smuovere Parigi non è bastato il ricatto e poi la ritorsione d’una mega multa (8,97 Mld di $) inflitta a Bnp Paribas, il più grande istituto di credito francese; quanto a Berlino, non aveva alcuna intenzione di smantellare decenni di relazioni costruite pazientemente e, passo dopo passo, i suoi rapporti con gli Usa si sono deteriorati, giungendo al minimo storico dopo l’ennesimo caso eclatante di spionaggio, con il responsabile della Cia espulso come si faceva con gli agenti del Kgb ai tempi della Guerra Fredda. Un disastro politico.

Comunque sia, nel frattempo, attraverso il potere della finanza e del dollaro, Washington fiacca l’economia russa e induce massicce fughe di capitali; Obama pensa d’aver messo Mosca nell’angolo, quando, a maggio, Putin vola a Shanghai per chiudere un megacontratto di fornitura di gas (oltre a molti altri accordi strategici) su cui si trattava da dieci anni. Le condizioni sono quelle di Pechino, che in più si vede aperte le risorse russe della Siberia e l’ingresso nelle società di sfruttamento, ma per Mosca è uscire dall’impasse, trovando la sponda della Cina, e dare nuove prospettive al proprio gas in tutto l’Estremo Oriente. Per gli Usa è un doppio capolavoro alla rovescia: veder uscire Putin dall’isolamento e , soprattutto, fare un piacere colossale a Pechino, il vero competitor globale.     

A conti fatti la Dottrina Obama, usata in Ucraina, ha destabilizzato un Paese, preda d’una guerra civile che non si sa quando finirà e che comunque sta scavando fossati d’odio assai difficili da colmare; ha distrutto il rapporto con la Germania, che sempre più pensa a una via sua con Russia e Cina; ha buttato Putin in braccio a Xi Jinping, alle condizioni di quest’ultimo. Se si pensa che, nel 2009, all’inizio del suo primo mandato, Obama voleva puntare su Mosca per contenere Pechino.

Dinanzi a simili comportamenti, cinici quanto irresponsabili, sta agli Europei tirare le conclusioni: ripensare la Nato e le sue funzioni, che non possono essere la sfacciata proiezione degli interessi Usa; ripensare la Ue e le sue dinamiche, che non possono essere strumenti accessori della Nato, con l’allargamento indeterminato a Oriente, né essere appaltate ad alcuni Stati per tutti. Inoltre occorre riflettere sul Ttip, quell’accordo attraverso cui gli Usa intendono imporre un controllo e un dominio commerciale ed economico; siglandolo l’Europa si consegna a Washington e chiude con la Russia (con cui ha mille coincidenze d’interessi) e con il mercato e i capitali cinesi. Sarebbe peggio che stupidità, sarebbe un errore colossale. 

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