Algeria: in un Paese “zittito” e senza speranza trionfa ancora Bouteflika
Giovedì ci sono state le elezioni presidenziali in Algeria e ieri sono stati diramati ufficialmente i risultati provvisori (quelli definitivi sarà il Consiglio Costituzionale a proclamarli): secondo un copione prestabilito, per la quarta volta ha vinto Bouteflika, l’eterno Presidente che regge il Paese dal 1999. O meglio, lui ormai regge ben poco o nulla: dopo l’ictus che l’ha colpito un anno fa è un fantasma, incapace pure di leggere un discorso; grottesca è stata la scena al seggio elettorale, con lui che faticava a tirar fuori dalla tasca il documento. Sembrava una perfetta riedizione dei tempi del Kremlino, quando i vari Breznev, Andropov e Chernenko venivano tenuti in vita come mummie da esibire, finché i giochi di potere non avessero individuato il successore.
Ma il successore non è stato ancora trovato: dalla fine della Guerra Civile, che dal 1992 al 2002 ha insanguinato il Paese con una scia infinita di morti e violenze, l’Algeria è retta da una cupola costituita dal comitato d’affari del gas e del petrolio e dalle strutture ad essa collegate da un canto, e dall’Esercito con gli onnipotenti apparati di sicurezza dall’altro. Sono loro che si spartiscono i proventi dell’unica ricchezza di un Paese che potrebbe avere molto di più, ma che vanta un’altissima disoccupazione (vicina al 40!). Per tamponare il malcontento vengono distribuiti sussidi, regalie, qualche aumento di stipendio: briciole lasciate cadere al Popolo.
Sui 23 ml di Algerini, i dati ufficiali dicono che solo il 51,7% s’è recato alle urne (nel 2009 erano stati il 75%), regalando al vecchio Leader (ha 77 anni) l’81,53% dei consensi, ma su quelle cifre sono in molti ad aver dubbi, visto che non esiste nemmeno un Registro Elettorale centrale. L’unico sfidante serio di Bouteflika, Alì Benflis, già suo primo ministro e capo di gabinetto, ha raccolto solo il 12,8% dei voti, ma ha urlato a caldo che non riconosce la regolarità del voto, viziato da brogli, pressioni del Potere e da una pioggia di denaro.
Disordini ce ne sono stati, soprattutto in Cabilia, con almeno 70 feriti, ma è tutto sopito, tutto soffocato, in un Paese che ha perso ogni speranza di cambiamento e in uno Stato dominato sempre dagli stessi personaggi.
Il dramma dell’Algeria è il trauma della Guerra Civile, ancora troppo vivo nella memoria di tutti; quella guerra spietata fra fondamentalisti islamici ed Esercito ha segnato profondamente il Paese e i gruppi dirigenti, generando la paura (meglio: la fobia) per ogni cambiamento. E lo svilupparsi disordinato e spesso disastroso delle varie “primavere” ha confermato queste paure in strati maggioritari della popolazione.
Certo, il dissenso c’è, ma i movimenti di opinione non riescono a sfondare e l’Islam politico (quello che è riuscito a svilupparsi in Tunisia ed Egitto) non ha alcuna speranza d’affermarsi in una società che ha vivo l’orrore del “decennio nero”. Solo in alcune zone dell’interno scoppiano di tanto in tanto tumulti legati alla mancanza di lavoro, all’assenza di servizi, alla corruzione più sfacciata, allo strapotere dell’apparato di governo, ma vengono sedati con durezza nella discrezione dei media, ben attenti a non dare pubblicità agli eventi.
L’unica prospettiva data all’Algeria è il perpetuarsi della cupola affaristica, occupata a spartirsi gli affari, le commesse e gli appalti collegati al petrolio e al gas; di sviluppo complessivo della società, nuovi equilibri sociali, nuove rappresentanze politiche neppure parlarne.
Certo, la situazione non può durare all’infinito, e nel gruppo di potere affiorano già le prime crepe fra militari (che detengono la forza e vengono ripagati con infiniti privilegi) e il comitato d’affari che occupa ogni ambito dello Stato, ma trovare un sostituto di Bouteflika che copra tutti si rivela sempre più difficile. Così s’aggrappano al vecchio leader finché dura, ma dopo? C’è solo da sperare che la solita avidità non sbocchi nel solito bagno di sangue. In ogni caso il Popolo può aspettare.