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“Divide et Impera”: l’ultima prepotenza israeliana per dividere il popolo palestinese

di Manuela Comito

In questi giorni il Parlamento israeliano, la Knesset, è alle prese con un nuovo disegno di legge al fine di identificare i palestinesi cristiani con cittadinanza israeliana come “non arabi”. Questo ha scatenato diverse proteste sia all’interno che al di fuori della Palestina. Il disegno di legge è stato proposto da Yariv Levin, presidente della coalizione e la fazione Likud-Beytenu alla Knesset, nel mese di gennaio. Se approvato, per la prima volta nella storia del popolo palestinese, gli arabi cristiani e quelli musulmani saranno considerati due comunità distinte e separate.

Il 19 febbraio la legge è passata dalla Knesset in seconda e terza lettura dai Ministeri del Welfare, della Salute e del Lavoro e dovrebbe essere discussa in via definitiva nelle prossime settimane. L’opinione di Levin concernente lo stato “non arabo” dei palestinesi cristiani è stata fortemente avversata sia da organizzazioni palestinesi che da organizzazioni cristiane, secondo quanto riportato da Al-Akhbar.

Mustafa Barghouti, fondatore e segretario generale del Palestinian National Initiative, ha ribadito con fermezza che palestinesi cristiani e musulmani sono lo stesso popolo, sottolineando come alcuni dei più importanti rappresentanti del nazionalismo arabo e del movimento di liberazione palestinese come George Habash ed Edward Said fossero cristiani.

“Questo è un atto di arroganza e una grave violazione dei diritti fondamentali. Israele sta conducendo la prassi coloniale del ‘divide et impera’. Un’azione provocatoria che mira a distrarre dalle questioni principali e che mostra la peggiore forma di razzismo e orientalismo” ha dichiarato Barghouti. Levin legittima la sua proposta adducendo a motivazione la volontà di proteggere i cristiani dagli estremisti islamici e additando come esempio positivo di armonia religiosa e stabilità di stato il sistema confessionale libanese.

Osama Awwad, giornalista e coordinatore di Holy Land Trust, ha dichiarato: “Abbiamo vissuto e viviamo tutti sotto l’occupazione, la colonizzazione e i bombardamenti. Il disegno di legge è illusorio, perché di fatto Israele vuole essere riconosciuto come Stato ebraico e ciò significa la negazione di qualunque diritto per chi non è ebreo, compresi i cristiani. Israele tenta di portare avanti la sua politica di apartheid a tutti i livelli: divisione di terre, etnia, religione”.

Secondo le statistiche della Cia, 123 mila cristiani arabi vivono nella Palestina Occupata e altri 226 mila in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza. Nonostante le argomentazioni portate da Levin per il suo disegno di legge, secondo cui Israele è l’unico che “protegge” i cristiani, le chiese in Cisgiordania sono regolarmente attaccate da gruppi di fanatici coloni israeliani. Padre Paolo Lansu, un prete cattolico consulente di Pax Christi International, in una conversazione telefonica con Al-Akhbar conferma e ribadisce quanto detto finora: non vi è distinzione all’interno della comunità palestinese. Il tentativo attuale di Yariv Levin è parte di un contesto più ampio di tentativi storicamente attuati da Israele di dividere i palestinesi in diversi gruppi; per esempio, i drusi con cittadinanza israeliana, fin dai primi anni di creazione dello Stato di Israele, sotto il profilo legislativo hanno avuto diritti e doveri diversi rispetto agli altri palestinesi: dal 1956 sono stati sottoposti all’obbligo di prestare servizio nell’esercito israeliano e hanno avuto uno status giuridico distinto da quello degli altri palestinesi residenti in Israele, tanto che una legge israeliana li ha definiti “non arabi”.

La discriminazione decennale tra i drusi e gli altri palestinesi ha portato a un ampio sostegno allo Stato sionista da parte dei drusi del 1948. Nonostante ciò, non tutti i drusi hanno rinunciato alla propria identità araba. Nel 1958 il Free Druze Young People Organization, che nel 1972 aderì al Druze Initiative Committee, ha visto un incremento delle organizzazioni che tutelano gli obiettori di coscienza i quali si rifiutano di rendersi complici dello “sfruttamento di soldati drusi per azioni militari oppressive contro i figli del popolo palestinese”.

Negli anni successivi e soprattutto negli anni più recenti, decine di casi di disertori drusi finiti in prima pagina dimostrano che la politica di Israele non è riuscita nell’intento di separare e mettere uno contro l’altro i palestinesi. Fin dalla sua creazione violenta Israele, in quanto Stato sionista, ha avuto un rapporto molto contorto con l’identità. Nel tentativo di assicurare il predominio dei sionisti europei, ha cercato di spazzare via non solo l’identità palestinese indigena, che esisteva prima della pulizia etnica del 1948, ma anche diverse identità contemporanee e storiche ebraiche.

Il disegno di legge che prevede la differenziazione tra palestinesi cristiani e palestinesi musulmani altro non è che l’ennesimo tentativo da parte delle autorità israeliane di sostenere uno Stato artificiale, soprattutto in questo particolare momento storico nel quale sempre di più il sionismo è visto come un’ideologia discriminatoria e obsoleta.

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