Aldo Moro – La politica e la società italiane non sono più quelle che abbiamo conosciuto negli anni delle grandi riforme, cioè gli anni Settanta. I ragazzi di allora oggi ricordano in particolare due ambiti del nostro Welfare state: la scuola e la sanità, oltre alle particolari tutele che lo Stato concedeva alle fasce più deboli, nonostante una grave crisi economica, provocata dalle grandi compagnie petrolifere, avesse investito alla metà di quel decennio non solo l’Italia, ma anche molti Paesi europei. Erano gli anni di Fanfani e di Moro, di Kissinger e di Nixon, di Gerald Ford e di Jimmy Carter, di Enrico Berlinguer e del compromesso storico. Un tempo oggi ridotto alla farsa recitativa, alla mancanza di ideali, all’inidoneità pubblica di chi ci governa e ci ha rubato il diritto di essere rappresentati.
Fu proprio nel primo anno di presidenza di Carter che si verificò la strage di via Fani e poi l’uccisione del presidente della Democrazia cristiana, Aldo Moro. Un fatto che la storiografia, come del resto l’opinione pubblica, non finirà mai di valutare nelle sue reali proporzioni e per gli effetti che questo affaire, come ebbe a definirlo Leonardo Sciascia, produsse nel tessuto vivo della politica e della società italiana nei decenni successivi. Fino ai nostri giorni.
Possiamo considerare, infatti, l’uccisione premeditata dello statista democristiano come l’effetto di un enorme meteorite sul nostro Paese, capace di cancellarne l’aspetto geografico e di determinare un mutamento radicale del suo clima.
La ricostruzione di Imposimato
I perché ce li spiega, con una incalcolabile dovizia di particolari e di dati, un libro di Ferdinando Imposimato, edito da Newton Compton: I 55 giorni che hanno cambiato l’Italia con il sottotitolo: Perché Aldo Moro doveva morire? La storia vera. Dopo i lavori sul tema effettuati da Sergio Flamigni, Imposimato ci fornisce ora i tasselli mancati di una ricostruzione che rendono il mosaico che già avevamo, nitido nei suoi contorni e, soprattutto esplicativo delle responsabilità che stanno alla base della barbara uccisione a freddo dello statista pugliese.
L’autore di questa notevole ricerca è un testimone diretto di quei fatti, perché fu giudice istruttore del rapimento di quel tragico 16 marzo 1978 e conobbe le vicende di quei mesi in quanto penalista, magistrato e adesso, presidente onorario aggiunto della Suprema Corte di Cassazione. Una fonte autorevole, insomma, la cui fatica nella ricerca della verità di tanti misteri della nostra storia repubblicana, è premiata in ragione proprio della sua autorevolezza, e cioè del fatto che a lui si sono rivolti, anche in tempi a noi vicini, testimoni che furono, ad esempio, nei mesi del sequestro Moro, attori principali sulla scena. Quella di un prigioniero attorno al quale agirono statisti e generali, capi della Massoneria e teste di cuoio costrette a ubbidire e a tacere. E anche, naturalmente, le Brigate rosse.
Aldo Moro, il ruolo di Cossiga e Andreotti
Il libro è introdotto dal presidente di sezione della Corte di Cassazione Antonino Esposito, che già nelle sue prime battute mette in risalto quanto dichiarato da Steve Pieczenik, braccio destro Henry Kissinger: “Sono stato io, lo confesso, a preparare la manipolazione strategica che ha portato alla morte di Aldo Moro allo scopo di stabilizzare la situazione italiana. Le Brigate rosse avrebbero potuto rilasciare Aldo Moro e così avrebbero senza dubbio conquistato un grande successo, aumentando la loro legittimità”. Ma la “decisione finale”, conclude l’inviato del Dipartimento di Stato americano, “è stata di Cossiga e, presumo, anche di Andreotti”.
L’affermazione trova conferma in questo libro-inchiesta di Imposimato, una sorta di nuova istruttoria sul caso, basata sull’analisi critica e sui riscontri alle affermazioni di due nuovi testimoni chiave della vicenda: un ufficiale dell’esercito, membro di Gladio, istruttore a Capo Marrargiu, passato ai Servizi di intelligence, e un brigadiere della Guardia di Finanza. Entrambi addetti al controllo dell’unico covo nel quale fu prigioniero Moro, quello di via Montalcini, dove essi avevano installato i congegni tecnologici necessari all’ascolto e alla visione delle bobine sul sequestro.
Filmati e sonori che venivano poi consegnati al colonnello Pietro Musumeci, piduista, e segretario generale del Sismi, il servizio segreto militare che a Forte Braschi aveva il quartiere generale dell’operazione Moro. Qui operava il Nasco G 15, coordinato oltre che da Musumeci, da altri uomini della P2 come il generale Giuseppe Santovito, e il generale Gianadelio Maletti, poi condannato per depistaggio sulla strage di Piazza Fontana. Insomma la vita di Moro era oggettivamente nelle mani della Massoneria e di quanti, all’interno di essa, erano soggetti al potere politico, alle deviazioni dello Stato e a condurre l’Italia verso una condizione permanente di normalizzazione, mediante lo Stay Behind di Gladio.
Strage di via Fani e assassinio di Kennedy
Giustamente, pertanto, l’autore del libro riconduce la strage di via Fani, all’assassinio di Kennedy, avvenuto il 22 novembre 1963 a Dallas, il primo atto che segnò un blocco del pensiero popolare democratico nell’Occidente e diede il via libera alle deviazioni di Stato. Basti pensare che il rapporto Warren fu il frutto di una più o meno consapevole interazione massonica dei principali membri della Commissione d’indagine, che indagò su quel delitto, e di cui fecero parte l’ex capo della Cia Allen Dulles, già destituito da JFK nel 1961, e altri massoni legati a Cosa Nostra.
Ma a leggere il libro di Imposimato, il cerchio delle responsabilità sull’omicidio di Moro, avvenuto il 9 maggio 1978, è abbastanza ristretto e lascia trasparire le responsabilità di quanti, a cominciare da Cossiga e da Andreotti, avrebbero potuto intervenire e non lo fecero, consegnando Moro in mano ai carnefici.
A differenza di ciò che vediamo nei film, nella storia, e cioè nella realtà delle cose, molti protagonisti non compaiono sulla scena, e, anzi, la loro funzione determinante si legge meglio attraverso gli effetti che le loro azioni producono nei comportamenti degli attori e nei fatti dei quali essi sono ritenuti i veri responsabili. Questa verità vale soprattutto per l’Italia, nata da una lunga lotta di liberazione, ma anche da un lungo intrigo di potere e di dominio di una Nazione sull’altra.
di Giuseppe Casarrubea