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Sessualità e culture: le mutilazioni genitali femminili

Sessualità e culture: le mutilazioni genitali femminili – Utilizziamo il termine femminicidio, per comprendere, con l’antropologa Marcela Lagarde, “La forma estrema di violenza di genere contro le donne, prodotto della violazione dei suoi diritti umani in ambito pubblico e privato, attraverso varie condotte misogine – maltrattamenti, violenza fisica, psicologica, sessuale, educativa, sul lavoro, economica, patrimoniale, familiare, comunitaria o anche istituzionale – che comportano l’impunità delle condotte poste in essere tanto a livello sociale quanto dallo Stato e che, ponendo la donna in una posizione indifesa e di rischio, possono culminare con l’uccisione o il tentativo di uccisione della donna stessa, o in altre forme di morte violenta di donne e bambine: suicidi, incidenti, morti o sofferenze fisiche e psichiche comunque evitabili, dovute all’insicurezza, al disinteresse delle Istituzioni e alla esclusione dallo sviluppo e dalla democrazia”.

Oggi, in gran parte dei Paesi in via di sviluppo, le donne subiscono violenze enormi passate sotto silenzio dal distratto mondo occidentale, tanto che possiamo parlare di 100 milioni di donne mancanti. Perché il mondo ha perso 100 milioni di donne? La domanda prende spunto da un’osservazione dell’economista Amartya Sen di vent’anni fa, secondo la quale, appunto, assommerebbe a 100 milioni il numero delle donne “mancanti” a causa di negligenza, infanticidi, aborti sesso-specifici. In altre parole, a causa della selezione del sesso del nascituro o, peggio, dell’eliminazione del neonato praticata in numerosi Paesi soprattutto asiatici, e in particolare Cina, India e Corea del Sud.

Bambine sparite

Le bambine spariscono, in parte, perché non ricevono le stesse cure mediche e la stessa alimentazione dei maschi. In India hanno meno probabilità di essere vaccinate rispetto ai maschi, vengono portate in ospedale quando le loro condizioni sono più gravi e il rischio di morte tra 1 e 15 anni è del 50% più alto tra le bambine rispetto ai loro coetanei maschi. Inoltre la diffusione della metodica ecotomografia, ha permesso a molte donne di poter accertare il sesso del feto prima della nascita, e così spesso chi scopre di aspettare una femmina, pratica l’aborto. Milioni di donne vengono ridotte in stato di autentica schiavitù, lavori forzati e schiavitù sessuale, in barba al detto cinese “le donne reggono la metà del cielo”.

Mutilazioni genitali femminili

Tra le violenze sulle donne, le mutilazioni genitali femminili rappresentano una vera e propria tortura sulle bambine che subiscono alterazioni devastanti e permanenti a livello fisico e psichico, raccontate dalla scrittrice somala Ayaan Hirsi Ali, infibulata a cinque anni nel suo straordinario libro “L’infedele”.

In Somalia, come in molti Paesi dell’Africa e del Medio Oriente, le bambine sono rese “pure” asportando parte dei loro organi genitali. Non c’è altro modo di descrivere questa procedura, che in genere si esegue verso i cinque anni. Dopo che clitoride e piccole labbra sono state letteralmente raschiati via, nei casi più compassionevoli tagliati, gli organi genitali vengono ricuciti in modo che una spessa fascia di tessuto formi una cintura di castità costituita dalla carne cicatrizzata. Viene lasciata una minuscola apertura, opportunamente posizionata, per la fuoriuscita di un sottilissimo flusso di orina, (ci si accorge che una donna non è infibulata semplicemente sentendola orinare. Le donne che hanno subito mutilazioni genitali riconoscono subito la non infibulata, la donnaccia, perché orina con un getto forte, cioè “come un uomo”). Solo con grande forza e sofferenza si potrà in seguito allargare l’apertura, lacerando il tessuto cicatriziale e permettendo così di avere rapporti sessuali.

Ayaan Hirsi Ali ci racconta la sua esperienza

Poi toccò a me. Ormai ero terrorizzata. Quando avremo tolto questo “kintir” (clitoride) tu e tua sorella sarete pure.- Dalle parole della nonna e degli strani gesti che faceva con la mano, sembrava che quell’orribile kintir, il mio clitoride, dovesse un giorno crescere fino a penzolarmi tra le gambe. Mi afferrò e mi bloccò la parte superiore del corpo… Altre due donne mi tennero le gambe divaricate. L’uomo che era un cinconcisore tradizionale appartenente al clan dei fabbri, prese un paio di forbici. Con l’altra mano afferrò quel punto misterioso e cominciò a tirare…Vidi le forbici scendere tra le mie gambe e l’uomo tagliò piccole labbra e clitoride. Sentii il rumore, come un macellaio che rifila il grasso da un pezzo di carne. Un dolore lancinante, indescrivibile e urlai in maniera quasi disumana. Poi vennero i punti: il lungo ago spuntato spinto goffamente nelle mie grandi labbra sanguinanti, le mie grida piene di orrore… Terminata la sutura l’uomo spezzò il filo con i denti… Ricordo le urla strazianti di Haweya, anche se era più piccola, aveva quattro anni, scalciò più di me per cercare di liberarsi dalla presa della nonna, ma servì solo a procurarlo brutti tagli sulle gambe di cui portò le cicatrici tutta la vita.

Mi addormentai, credo, perché solo molto più tardi mi resi conto che le mie gambe erano state legate insieme, per impedire i movimenti e facilitare la cicatrizzazione (dato che c’è stata una perdita di sostanza, clitoride e piccole labbra, le gambe legate insieme permettono la cicatrizzazione, ma la cicatrizzazione avviene in retrazione. Non c’è più tutto il tessuto necessario perché le gambe possano essere divaricate completamente. Nessuna farà più la spaccata. Anche dare un calcio a un pallone può essere impossibile, come andare a cavallo o, nei casi più gravi, nuotare a rana. Nei casi più gravi, dove infezioni riducono ulteriormente il tessuto, le donne non possono più divaricare le gambe per accovacciarsi e urinare e, dove non esistono water, devono urinare dalla posizione in piedi con l’orina che scola tra le gambe, scola un filino alla volta, una goccia alla volta).

Era buio e mi scoppiava la vescica, ma sentivo troppo male per fare pipì. Il dolore acuto era ancora lì e le mie gambe erano coperte di sangue. Sudavo ed ero scossa dai brividi. Soltanto il giorno dopo la nonna mi convinse a orinare almeno un pochino. Oramai mi faceva male tutto. Finché ero rimasta sdraiata immobile il dolore aveva continuato a martellare penosamente, ma quando urinai la fitta fu acuta come nel momento in cui mi avevano tagliata. Impiegammo circa due settimane a riprenderci. La nonna accorreva al primo gemito angosciato. Dopo la tortura di ogni minzione ci lavava con cura la ferita con acqua tiepida e la tamponava con un liquido violaceo, poi ci legava di nuovo le gambe e ci raccomandava di restare assolutamente ferme o ci saremmo lacerate e allora avrebbe dovuto chiamare quell’uomo a cucirci di nuovo.

Lui venne dopo una settimana per esaminarci. Haweya doveva essere ricucita. Si era lacerata urinando e lottando con la nonna… L’uomo ritornò a togliere il filo dalla mia ferita. Ancora una volta furono atroci dolori per estrarre i punti usò una pinzetta. Li strappò bruscamente mentre di nuovo la nonna e altre due donne mi tenevano ferma. Ma dopo questo anche se avevo una ruvida spessa cicatrice tra le gambe che faceva male se mi muovevo troppo, almeno non fui più costretta a restare sdraiata tutto il giorno con le gambe legate. Haweya dovette attendere un’altra settimana e ci vollero quattro donne per tenerla ferma… Non dimenticherò mai il panico sul suo viso e nella sua voce… Da allora non fu più la stessa… aveva incubi orribili. La mia sorellina un tempo allegra e giocosa cambiò. A volte si limitava a fissare il vuoto per ore. (svilupperà una psicosi)… cominciammo a bagnare il letto dopo la circoncisione”.

Le pratiche tradizionali oggi presenti anche nei Paesi interessati dai fenomeni migratori, come in Italia, dove ogni anno ci sono 2/3mila bambine a rischio di sibire mutilazioni genitali. Tuttavia, le tragedie personali della mutilazione genitale hanno dimensione planetaria, se si pensa che nel mondo sono oltre 130 milioni le donne vittime di questa pratica, in 29 pesi, con tremilioni di bambine e ragazzine che ogni anno subiscono l’infibulazione.

di Cristina Amoroso

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