Sud America: esplode il business illegale del legame
C’è un nuovo business emergente nell’America indio-latina che ha ovviamente già catturato l’interesse della mafia della regione: oggi nella zona si fanno affari d’oro con il legname. Questo almeno quanto emerge dall’ultimo rapporto dell’Onu in materia di ambiente e sviluppo sostenibile.
Secondo questo studio estrazione e commercio illegale di legname producono tra i 10.000 e i 15.000 milioni di dollari di fatturato annuo a livello globale e che in gran parte finiscono nelle tasche dei mafiosi.
Questo business ha una origine relativamente recente, circa due decenni ed ha origine da vari fattori: la crescente domanda di prodotti economici, la macchinosa burocrazia richiesta dall’attività estrattiva, la diffusa corruzione delle autorità amministrative e le difficoltà di accesso al credito ne sono solo un esempio.
Ad agevolare il compito delle mafie inoltre la noncuranza con cui i governi centrali trattano questo commercio spesso ignorando i reali dati sul commercio internazionale del legname, con la criminalità organizzata che spesso mascherano i proventi di questo commercio con quelli, legali, di prodotti legniferi.
Secondo l’apposita agenzia dell’Onu attualmente il 90% dell’estrazione illegale nei boschi tropicali può essere collegata al crimine organizzato che controlla fino al 30% del commercio globale di legname.
Il fenomeno appare in grande crescita nell’America indio-latina; in Messico, ad esempio, forti quantità di legname illegale lascia il paese per essere venduto negli Usa, per avere un idea del denaro mosso da questo business si consideri che la Commissione internazionale del commercio Usa ha stimato in 24 milioni di dollari solo nel 2011 i prodotti legniferi importati.
Una ricerca del governo colombiano invece del 2006 asseriva che oltre il 40% della produzione di legname aveva origine illegale e proveniva per la maggior parte da parchi nazionali; in Perù invece la quantità di legname illegale si aggira tra il 15% e l’88% annuo e le attività illegali includono estrazioni in aree naturali protette, utilizzo di lavoro nero e concessioni forestali clandestine.
Spesso inoltre il legname illegale compie percorsi di andata e ritorno, importata da Cina, Malesia e Indonesia, viene lavorata nella regione sudamericana e nuovamente esportato in tutto il mondo.
In America latina inoltre per quanto riguarda boschi e legname non esistono controlli di sorta, quindi i commercianti illegali si limitano a presentare una lista di alberi inesistenti da abbattere e le autorità autorizzano l’estrazione di volumi di legname superiore a quelli realmente presenti. I permessi sono poi venduti sul mercato nero e usati per riciclare legname estratto illegalmente da qualsiasi parte del continente: aree protette, territori indigeni e terre statali. Nessun controllo successivo rileva l’illegalità e quando si torna sul posto, anche se ciò capita assai di rado, per verificare il fatto ormai è troppo tardi.
Le vittime principali della deforestazione illegale sono in particolare piccole e medie imprese e comunità forestali che dipendono dal legname per lo sviluppo locale. Ma questo fenomeno prende di mira anche le comunità indigene che popolano i territori di molti paesi latinoamericani che come da tradizione vengono depredati delle loro ricchezze.
La comunità internazionale che solo ora si è accorta di questo business sta cercando di correre ai ripari con apposite leggi ad hoc.
Tra i primi a muoversi gli usa con la Lacey act, una norma che obbliga le compagnie operanti sul territorio nazionale a dimostrare che il legname utilizzato o importato non provenga da fonti illegali. Proprio grazie a questo strumento giuridico, il dipartimento di Giustizia degli Usa ha sanzionato recentemente la compagnia Gibson Guitar per l’uso di legname illegale proveniente dal Madagascar e dall’India.
L’Unione europea dal canto suo ha predisposto invece una regolazione del legname che però appare ancora lacunoso.