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Siria pilastro centrale dell’equilibrio regionale

Ciò che sta accadendo oggi in Siria, in particolare gli scontri tra il regime siriano e le Sdf ad Aleppo, non è un incidente di sicurezza isolato. È un punto di pressione in un riassetto regionale molto più ampio, che si sta svolgendo deliberatamente e in un momento ben preciso.

Nelle ultime settimane, la Turchia ha intensificato gli sforzi per assicurarsi un ruolo in una futura cosiddetta “forza di stabilizzazione” internazionale a Gaza. Questa mossa è stata formulata diplomaticamente, ma le sue implicazioni strategiche sono chiare: una presenza turca vicino ai confini di Israele, anche sotto un ombrello internazionale, è inaccettabile per Tel Aviv. Il rifiuto di Israele è stato categorico.

Questo rifiuto non è avvenuto in modo isolato. Ha coinciso con due percorsi paralleli: in primo luogo, il rinnovato impegno israeliano con le Sdf nella Siria nord-orientale e, in secondo luogo, una visibile accelerazione del coordinamento strategico israeliano con la Grecia e Cipro.

Il nuovo asse greco-cipriota-israeliano

L’emergente asse greco, cipriota e israeliano non è una novità, ma ora si sta spostando dalla cooperazione energetica e dalle esercitazioni militari simboliche, a un più esplicito allineamento in materia di sicurezza. Incontri trilaterali ad alto livello hanno discusso il coordinamento della difesa missilistica, le opzioni di dispiegamento regionale e il potenziale posizionamento dei sistemi di difesa israeliani sulle isole greche vicine alla Turchia. Non si è mai trattato solo di Gaza. Si tratta di limitare la profondità strategica della Turchia dal Mediterraneo orientale alla Siria settentrionale. In questo contesto, l’instabilità nella Siria nordorientale inizia ad avere senso.

L’impegno di Israele con le Sdf è al 100% transazionale, non ideologico come Israele vorrebbe far credere al mondo. Qualsiasi supporto è accompagnato da aspettative, principalmente la capacità di interrompere il consolidamento territoriale siriano, mantenere la pressione vicino al confine turco e mantenere la propria influenza in una posizione geografica che Israele considera fondamentale per la sua sicurezza settentrionale.

Questo è il motivo per cui emergono nuovi scontri tra le Sdf e le bande governative di al-Julani e accuse di violazioni degli accordi. Una Siria destabilizzata, in particolare vicino al confine con la Turchia, persegue molteplici obiettivi: limita la manovrabilità turca, ritarda la ripresa siriana (come se le fosse mai consentito) e preserva la libertà d’azione e di aggressione di Israele contro la Siria. Questo ci riporta a un monito ripetutamente espresso nell’ultimo decennio dal martire Sayyed Hassan Nasrallah.

“Siria non è solo un campo di battaglia…”

Sayyed Nasrallah ha costantemente sostenuto che la Siria non è solo un campo di battaglia, ma un pilastro centrale dell’equilibrio regionale. Il suo messaggio agli attori regionali e internazionali è stato chiaro: indebolite la Siria, frammentate la sua sovranità o smantellate l’infrastruttura della Resistenza nella regione e il fuoco non si fermerà a Damasco, né a Beirut. Israele non si accontenterà di contenere il Libano o la Siria; la sua logica è il terrorismo costante, l’espansione, la deterrenza attraverso il predominio e la pressione perpetua su ogni fronte confinante. Oggi, quell’avvertimento appare meno retorico e più strutturale.

La presenza di figure come al-Julani, terroristi spesso inquadrati come attori di transizione o pragmatici quando servono gli Stati Uniti e i loro alleati, si inserisce in questa logica più ampia. Il loro ruolo non è quello di stabilizzare la Siria, ma di gestire una fase: neutralizzare le vie della Resistenza, ammorbidire i confini e creare condizioni permissive per la riorganizzazione regionale. Una volta esaurito questo ruolo, la storia suggerisce che saranno o emarginati o rimossi.

Nel frattempo, gli Stati Uniti osservano attentamente, bilanciando due relazioni che considerano vitali: l’alleanza strategica con Israele e la partnership funzionale con la Turchia. Washington non cerca uno scontro aperto tra i suoi alleati, ma ha costantemente concesso a Israele un margine operativo sotto forma di attacchi aggressivi, anche quando tale margine contribuisce all’instabilità a lungo termine.

Leggere attentamente gli eventi regionali apre gli occhi sugli scontri in Siria, poiché sono meglio compresi non come una “disputa civile”, ma come la fase iniziale di un confronto regionale controllato e a bassa intensità. Una guerra di posizionamento piuttosto che di dichiarazioni.

di Redazione

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