Australia, Israele principale sospettato degli attacchi contro ebrei

L’esperto di questioni dell’Asia occidentale, Alireza Kabiri, ha dichiarato nel corso di un’intervista rilasciata a Mehr News, che uno studio sui precedenti dell’apparato di sicurezza israeliano porta a pensare che Tel Aviv sia il principale sospettato dietro l’attacco armato alla comunità ebraica in Australia.
Almeno 15 persone sono state uccise e decine sono rimaste ferite in una sparatoria avvenuta sabato durante la festa religiosa ebraica di Hanukkah sulla spiaggia di Bondi (Sydney). I filmati diffusi mostrano due uomini armati che aprono il fuoco sulla folla presente all’evento; le autorità australiane hanno dichiarato che due persone sono state arrestate in relazione all’incidente, una delle quali è stata uccisa a colpi d’arma da fuoco dalla polizia.
Molti Paesi, tra cui l’Iran, hanno condannato l’attacco mortale. La ragione principale di questo violento episodio non è stata ancora ufficialmente annunciata, ma i funzionari israeliani hanno nuovamente condannato l’accaduto definendolo “antisemitismo”, affermando di aver precedentemente avvertito il governo australiano che i movimenti “antisemiti” sono in aumento in Australia.
Come passare da carnefici a vittime
Nonostante la tragedia e il genocidio della popolazione di Gaza e le azioni aggressive del regime sionista contro i Paesi del Medio Oriente, l’odio e il disgusto dell’opinione pubblica mondiale nei confronti di questo regime criminale siano aumentati in modo esponenziale.
Quindi, con una pausa e uno sguardo più attento, sorgono seri interrogativi sugli obiettivi di questo tragico attacco che non possono essere ignorati; domande come quale fosse l’obiettivo del principale autore o degli autori di questo attacco e chi potrebbe sfruttarlo. Si tratta semplicemente di un’azione cieca o di un’operazione pianificata con obiettivi specifici le cui motivazioni diventeranno gradualmente evidenti?
Alireza Kabiri ritiene che studiare i retroscena storici e le azioni dei servizi di sicurezza israeliani possa fornire una visione chiara delle motivazioni e delle possibili conseguenze di questo tragico incidente.
Riportiamo l’intervista:
Quanto è probabile che l’attacco alla celebrazione religiosa ebraica in Australia sia stato compiuto dallo stesso regime israeliano?
Per valutare la possibilità di un coinvolgimento israeliano nell’attacco alla celebrazione religiosa ebraica di Sydney, dobbiamo esaminare la storia documentata delle operazioni di intelligence del regime israeliano. Israele è uno dei pochi attori internazionali che ha una storia ufficiale di operazioni di sicurezza e intelligence sul territorio di Paesi terzi, e in diversi casi queste operazioni sono state successivamente rivelate o confermate. Un esempio classico è il “Caso Lavon” del 1954, un’operazione in cui i servizi di sicurezza israeliani tentarono di attribuire gli attentati contro obiettivi ebraici e occidentali in Egitto ad altri gruppi al fine di danneggiare le relazioni dell’Egitto con l’Occidente. Questo caso fu successivamente confermato ufficialmente in Israele e dimostra che l’uso di operazioni “sotto falsa bandiera”, anche a rischio di vite ebraiche, ha una storia nella logica di sicurezza del regime.
In tempi più recenti, l’assassinio di Mahmoud al-Mabhouh a Dubai nel 2010 ha dimostrato che il Mossad è in grado di condurre operazioni complesse in Paesi sicuri sotto stretta sorveglianza, indipendentemente dalla sensibilità politica e di sicurezza. Pertanto, in termini di capacità operativa e precedenti storici, implementare uno scenario di sicurezza controllata in un Paese come l’Australia non è né impossibile né estraneo al modello comportamentale israeliano. Soprattutto in una situazione in cui Israele si trova ad affrontare una grave crisi di legittimità internazionale, questa possibilità merita di essere considerata da una prospettiva analitica.
Considerato l’odio che l’opinione pubblica mondiale nutre nei confronti dei sionisti e di Israele, questo attacco in Australia può essere interpretata come una sorta di “victim who plays” da parte dei servizi di sicurezza israeliani?
Considerato l’odio per i sionisti e le politiche israeliane nell’opinione pubblica mondiale, questo tragico attacco può essere seriamente considerato una forma calcolata di vittimizzazione. Israele usa da anni la “sicurezza degli ebrei nel mondo” come strumento politico e mediatico. Dopo ogni ondata di critiche diffuse contro questo regime, l’attenzione dei media su “antisemitismo, insicurezza ebraica e necessità di sostenere Israele” aumenta significativamente. Ad esempio, dopo la guerra di Gaza del 2014 e le crescenti pressioni sui diritti umani, Israele e le istituzioni a esso vicine hanno lanciato una campagna diffusa sull'”aumento degli attacchi contro gli ebrei in Europa”, che mirava a spostare la posizione di vittima dai palestinesi agli ebrei.
In tali circostanze, un attacco come la sparatoria durante una celebrazione religiosa ebraica a Sydney svolge esattamente la stessa funzione psicologica e mediatica: creare uno shock emotivo, ripristinare la simpatia dell’opinione pubblica occidentale e ridurre la pressione politica su Israele. Questo schema non è casuale, ma fa parte della ben nota dottrina della guerra narrativa, in cui Israele ha una lunga esperienza. Pertanto, la vittimizzazione in questo incidente non è un presupposto debole, ma un’analisi basata su un modello di comportamento coerente.
Ha menzionato diversi casi rispondendo alle domande precedenti. Ci sono stati altri casi simili a quello di oggi negli Stati Uniti e in Israele?
Esistono esempi documentati di azioni simili da parte di Israele e degli Stati Uniti nella storia recente. Oltre all'”incidente Lavon”, l’attacco israeliano alla nave americana “USS Liberty” nel 1967 è un altro caso controverso che molti analisti hanno considerato un tentativo deliberato di trascinare gli Stati Uniti in guerra contro l’Egitto, sebbene la narrazione ufficiale affermi il contrario.
Per quanto riguarda gli Stati Uniti, i documenti ufficiali pubblicati dimostrano che il piano “Operazione Northwoods” fu ideato negli anni ’60 per realizzare falsi attacchi contro cittadini americani e attribuirli a Cuba; un piano che, sebbene non attuato, dimostra la logica di sicurezza che governa tali decisioni.
Inoltre, la storia della falsa e inventata testimonianza di “Nayirah” del 1990 sul massacro di bambini in Kuwait, poi rivelatasi una menzogna, è un chiaro esempio dell’uso da parte degli Stati Uniti di narrazioni emotive e false per modificare l’opinione pubblica e giustificare la guerra. Questi esempi dimostrano che l’uso di eventi o narrazioni inventate per manipolare l’opinione pubblica non è un’eccezione, ma parte della storia della politica di sicurezza delle grandi potenze. Alcuni continuano addirittura a credere che anche l'”attacco dell’11 settembre 2001″ agli Stati Uniti sia stato un’operazione fittizia pianificata dalle forze di sicurezza statunitensi.
In conclusione, quando mettiamo insieme queste prove storiche, la logica politica, la storia operativa e l’urgente necessità di Israele di cambiare il clima dell’opinione pubblica globale, l’analisi del coinvolgimento dei servizi di sicurezza israeliani nell’attacco in Australia diventa molto più credibile. Da un punto di vista mediatico e psicologico, questo tragico incidente è del tutto comprensibile, in linea con la strategia di ritrarre la vittima e ricostruire l’immagine di Israele, ed è coerente con i modelli noti del passato.
di Redazione



