Medio Oriente

Israele dietro i muri della paura

Fin dalla sua fondazione, Israele ha fatto affidamento sui muri, sia fisici che ideologici, come pilastri centrali della sua dottrina di sicurezza. Il progetto stesso è emerso dalla logica dell'”isolamento preventivo”: fortificare gli insediamenti contro un ambiente arabo descritto nel discorso sionista come intrinsecamente “ostile”.

Questa paranoia radicata ha prodotto generazioni successive di barriere: dalla recinzione attorno a Gaza, al muro dell’apartheid attraverso la Cisgiordania, e ora gli enormi blocchi di cemento che Israele sta erigendo lungo il confine libanese, in particolare di fronte alla pianura di Yaroun, dove spera di creare un “perimetro sicuro” che protegga la sua frontiera settentrionale da Hezbollah.

Eppure, niente di tutto questo è una novità. È semplicemente la ripetizione di decenni di strategie fallimentari basate sulla falsa promessa di “sicurezza assoluta”, un concetto propagandato dall’esercito israeliano fin dal suo inizio.

Israele: una storia di ritiro dietro le barriere

Dagli anni ’50, Israele ha circondato i suoi confini con Libano, Siria, Gaza ed Egitto con filo spinato, campi minati e recinzioni. Ma la guerra del 1973, e in seguito l’ascesa della Resistenza palestinese nel Libano meridionale, hanno messo in luce la fragilità di questi cosiddetti “confini protetti”. Ogni nuova barriera si scontrava con una nuova forma di Resistenza che la superava.

Il muro dell’apartheid costruito in Cisgiordania nel 2002 dopo la Seconda Intifada fu presentato come uno scudo contro il “terrorismo palestinese”. In realtà, isolò Israele dal mondo.

Nel 2004, la Corte Internazionale di Giustizia dichiarò il muro illegale, violando i diritti dei palestinesi alla terra, al movimento e alla vita. Esteso per oltre 700 chilometri, il muro non riuscì comunque a fermare la Resistenza, compresi gli attacchi provenienti dall’interno stesso del territorio occupato.

A Gaza, Israele ha costruito un muro sotterraneo d’acciaio dotato di sensori elettronici progettati per rilevare i tunnel. Eppure, le guerre del 2021 e del 2023 ne hanno dimostrato i limiti, poiché i combattenti della Resistenza lo hanno infranto utilizzando strumenti semplici, dimostrando che nessuna barriera tecnica può superare la volontà che spinge un popolo a lottare per la libertà.

Muri oltre la Palestina

Oggi Israele sta estendendo questa architettura di isolamento fino ai confini del Libano e della Siria. L’esempio più eclatante è l’imponente barriera che si erge di fronte alla pianura di Yaroun, parte di una catena difensiva che si estende da Naqoura ad Al-Adaysseh e raggiunge un’altezza massima di nove metri. Israele sostiene che questo muro miri a impedire “l’infiltrazione di Hezbollah” nel contesto delle crescenti tensioni nel nord.

Ma dietro questa narrazione si cela una verità più profonda: una dottrina della sicurezza così intrisa di ansia da considerare ogni cima di collina, pietra, frutteto e villaggio nel Libano meridionale, compreso Yaroun, come una minaccia esistenziale.

Storicamente, Israele non è mai riuscito a proteggere i suoi confini settentrionali. Dall’invasione del 1982 fino al ritiro del 2000, la Resistenza libanese ha ripetutamente penetrato e smantellato le fortificazioni israeliane, dai cancelli d’acciaio ai sistemi di sorveglianza elettronica.

Oggi, mentre Israele getta nuovo cemento di fronte a Yaroun, non fa altro che far rivivere una vecchia illusione: che il cemento possa sostituire la giustizia e che il pericolo provenga dall’esterno piuttosto che dalla natura stessa dell’occupazione.

Tra il muro e il cielo

Politicamente parlando, i muri di Israele simboleggiano il fallimento del progetto di “integrazione regionale” promosso dall’Occidente attraverso accordi di normalizzazione. Mentre Israele afferma di appartenere a un “Nuovo Medio Oriente”, in pratica si ritira ulteriormente in se stesso, isolandosi dietro le barricate. Questi muri non hanno garantito sicurezza; hanno intensificato l’assedio psicologico e politico di Israele e rafforzato la sua identità di entità di coloni intrappolata nella paura.

Dal punto di vista ambientale, questi progetti hanno devastato i terreni agricoli palestinesi e libanesi, frammentato le comunità e sequestrato le risorse idriche. Il muro è diventato un monumento non solo alla separazione, ma anche alla lenta erosione del territorio, soprattutto di fronte a villaggi come Yaroun, la cui geografia Israele cerca di rimodellare in una zona cuscinetto per le sue ansie.

E ora, mentre Israele erige la sua ultima barriera lungo il confine di Yaroun, costruisce inconsapevolmente un altro monumento alla sua incapacità di comprendere la logica della storia: un popolo posto sotto assedio non scompare: si adatta e resiste. Ogni muro che Israele innalza diventa uno specchio che riflette la sua fragilità e una nuova fonte di forza per coloro che gli si oppongono.

di Redazione

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