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Libano e il cappio americano

Non si fermano le minacce e le intimidazioni americane contro il Libano. A tal proposito, l’inviato statunitense in Siria, Thomas Barrack, ha rilasciato una serie di dichiarazioni incendiarie attraverso il suo account X, minacciando il Libano di guerra civile e aggressione israeliana se si rifiuta di normalizzare le relazioni con Israele in base ai cosiddetti Accordi di Abramo.

Le osservazioni di Barrack non sono isolati lapsus. Fanno parte di un sistematico schema di coercizione e ricatto che riflette la radicata arroganza della diplomazia di Washington nei confronti delle nazioni sovrane.

Il messaggio di Barrack al Libano era brutalmente chiaro: sottomettersi alla volontà di Washington e normalizzare i rapporti con Tel Aviv, altrimenti si andrà incontro a caos, collasso e distruzione.
Questo tono di terrorismo politico svela ciò che si cela dietro la retorica di “pace” e “stabilità” così spesso ostentata dagli Stati Uniti: un progetto neocoloniale mirato alla sottomissione, non alla coesistenza.

Totale obbedienza all’asse americano-israeliano

In una delle sue prime interviste con Sky News Arabia, Barrack dichiarò cinicamente: “La pace non esiste. C’è una parte che vuole controllare e soggiogare le altre”. Questa schietta confessione smaschera l’essenza della politica estera americana, una filosofia di dominio mascherata dal linguaggio della diplomazia. Le sue ultime minacce non fanno che riaffermare che la visione di Washington per il Libano non è quella di una partnership, ma di una totale obbedienza all’asse americano-israeliano.

Ancora più allarmante è il fatto che le dichiarazioni di Barrack indeboliscono di fatto l’accordo di cessate il fuoco del novembre 2024, mettendo in dubbio l’impegno di Washington a raggiungere un accordo negoziato.

Collegando il proseguimento della tregua al disarmo di Hezbollah, l’inviato statunitense sta trasformando la diplomazia stessa in un’arma, trasformando le iniziative di pace in strumenti di ricatto. Il suo linguaggio ha da tempo trasceso il decoro diplomatico, diventando una dichiarazione diretta di coercizione economica, politica e militare.

Secondo la logica di Barrack, gli Accordi di Abramo rappresentano la nuova bussola della strategia americana nella regione. Washington considera qualsiasi rifiuto di normalizzare i rapporti con Israele come una sfida al suo progetto mediorientale, una sfida da reprimere piuttosto che da comprendere.

Libano banco di prova per questo esperimento imperiale

Il Libano, quindi, viene considerato un banco di prova per questo esperimento imperiale: una nazione costretta a sottoporsi a fame, sanzioni e minacce di guerra fino alla capitolazione. Non è la prima volta che Barrack adotta i toni di un supervisore coloniale. Dalla sua nomina, ha lanciato almeno quattro minacce esplicite.

Una volta ha proposto l’annessione del Libano alla Siria come parte di un “accordo regionale”. In seguito, ha respinto del tutto il concetto di pace, vantando un piano di controllo piuttosto che di riconciliazione. In un’altra occasione, ha accennato alla possibilità di armare l’esercito libanese per combattere i suoi “oppositori interni” – un riferimento appena velato alla Resistenza. La sua ultima e più pericolosa provocazione – l’allarme guerra civile se il Libano non normalizza i rapporti con Israele – completa un modello di aggressione continua.

L’obiettivo finale di questa retorica è chiaro: imporre la sottomissione. Eppure, Barrack e i suoi superiori sembrano ignari della lunga storia di ribellione del Libano. I libanesi hanno affrontato l’occupazione israeliana, conflitti interni e assedio economico, ma si sono rifiutati di arrendersi.

Dal 1982, la logica della Resistenza è l’unica forza in grado di preservare la sovranità e la dignità del Paese. Sul piano interno, la risposta del governo libanese resta tiepida, frenata da una crisi economica in gran parte orchestrata dalle stesse potenze che ora predicano la “riforma”.

Il Comitato di monitoraggio del cessate il fuoco, presumibilmente istituito per garantire la stabilità, si è trasformato in una piattaforma per imporre nuove condizioni senza alcun obbligo reciproco, come il ritiro israeliano dalle terre occupate o il ritorno dei civili sfollati.

La dignità non è una moneta negoziabile

Inoltre, la cosiddetta politica “passo dopo passo” ha fallito miseramente, poiché Israele non ha mai cercato la pace. Israele mira all’espansionismo violento, al dominio totale e alla cancellazione di qualsiasi Resistenza.

Washington, in quanto principale sponsor di questa farsa, ha la piena responsabilità di perpetuare l’aggressione israeliana e di sabotare una vera pace. Anche le minacce economiche di Barrack sono ipocrite. La crisi in Libano non è iniziata ieri. È stata orchestrata nel 2019 attraverso il blocco finanziario e le sanzioni punitive di Washington, che hanno paralizzato l’economia e bloccato potenziali aiuti dalle offerte energetiche e di ricostruzione iraniane.

Nel frattempo, il Libano si trova a un bivio: cedere alla logica umiliante della normalizzazione o difendere la propria dignità e indipendenza. La scelta, tuttavia, non è meramente politica: è esistenziale! Un popolo che un tempo dichiarava “l’umiliazione è fuori dalla nostra portata” non può essere costretto a scegliere tra la fame e la resa. La storia ha dimostrato che ogni volta che aumenta la pressione esterna, l’attaccamento del popolo libanese alla Resistenza non fa che rafforzarsi.

Le minacce terroristiche di Barrack non riusciranno a domare una nazione forgiata nella lotta. La vera risposta non risiede nelle lamentele diplomatiche, ma in un’azione decisa, ovvero il ritiro del Libano dal fallito comitato di supervisione del cessate il fuoco e la riaffermazione di una dottrina nazionale che antepone la sovranità alla sottomissione.

La dignità non è una moneta negoziabile; coloro che scommettono sulla protezione americana stanno, in realtà, consegnando le chiavi della loro patria nelle stesse mani che vogliono distruggerla!

di Redazione

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