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Perché Israele non ha invaso il Libano meridionale?

Dallo scoppio degli scontri al confine libanese dopo il 7 ottobre, in Israele si sono levate voci che chiedevano il ritorno del Libano a un’era preistorica e la conquista del sud per tenere Hezbollah lontano dal confine. Nell’arena politica e militare israeliana, si sono levati slogan per una rapida vittoria e l’istituzione di una zona cuscinetto a decine di chilometri di profondità all’interno del Libano.

Ma ciò che accadde sul terreno fu completamente diverso. Israele non fu in grado di portare avanti un’occupazione su larga scala e rimase solo sulla linea di contatto, costretto a intraprendere la strada dei negoziati attraverso americani ed europei per trovare accordi che garantissero la calma sul confine settentrionale. Tutto ciò accadde dopo l’assassinio del leader Hassan Nasrallah e di parte della leadership di Hezbollah. La domanda è: perché Israele non osò invadere il sud, mentre non esitò mai a bombardare Gaza, occuparla ed entrare in Siria?

Primo: la deterrenza militare di Hezbollah

La ragione principale risiede nel sistema di deterrenza che Hezbollah ha costruito in oltre due decenni. Hezbollah, che ha acquisito esperienza di combattimento dalla liberazione del Libano nel 2000 e ha dimostrato la sua capacità nella guerra del Libano del 2006, ha sviluppato il suo arsenale missilistico in modo impressionante negli ultimi dieci anni. Le stime israeliane parlano di oltre 150mila razzi, tra cui centinaia di razzi di precisione, insieme a droni armati, capacità avanzate di guerra elettronica e droni per la raccolta di informazioni. Qualsiasi invasione terrestre del sud potrebbe aprire i cieli israeliani a una raffica di razzi che presumibilmente non possono essere intercettati da Iron Dome o dal drone “Dodsling”.

Questo rischio diretto per le città e i centri strategici ha portato l’esercito israeliano a essere molto cauto nei suoi calcoli. Invece di un’operazione di terra decisiva, la leadership israeliana ha optato per attacchi aerei, omicidi mirati e per evitare di essere trascinata in una lunga e costosa guerra terrestre. È chiaro che il sistema di deterrenza costruito da Hezbollah rimane forte e tangibile nella mente israeliana.

Secondo: la delicatezza del fronte interno israeliano

Il secondo fattore è la sensibilità della società israeliana, che da quasi un anno vive sotto la minaccia dei razzi provenienti da Gaza, Libano e Yemen. La società non è in grado di sopportare le conseguenze di una guerra di logoramento prolungata. I tentativi passati hanno dimostrato che Hezbollah è in grado di paralizzare i porti, danneggiare gli aeroporti e costringere decine di migliaia di residenti ad abbandonare le comunità del nord.

Già nei primi mesi del conflitto, si registrò un’ondata senza precedenti di partenze dagli insediamenti vicino al confine, che esercitò un’enorme pressione sul governo. Questa situazione rese pericolosa qualsiasi decisione di invadere il sud, poiché una risposta di Hezbollah con razzi avrebbe gravato sulla popolazione e compromesso la capacità del governo di gestire il conflitto. Hezbollah divenne una minaccia strategica per la struttura economica e sociale di Israele, e non solo una minaccia militare al confine.

Terzo: Lo schieramento regionale – La guerra dei 12 giorni

Il terzo fattore che ha impedito l’invasione è il contesto regionale. Hezbollah non opera più da solo, ma come parte di uno schieramento unificato. Questo schieramento ha dimostrato nell’ultimo anno la capacità di coordinarsi ed esercitare pressione simultaneamente: lo Yemen ha chiuso il Mar Rosso alle navi israeliane e americane, l’Iraq ha condotto operazioni di alta qualità contro le basi americane e l’Iran ha condotto l’operazione “La Promessa Fedele”, che ha inviato messaggi chiari a Israele e ai suoi alleati.

Israele è consapevole che qualsiasi avventura significativa in Libano non rimarrà limitata a quel territorio, ma aprirà nuovi fronti. Dato che l’esercito israeliano sta già affrontando sfide a Gaza, l’estensione del conflitto al Libano e forse anche a Iraq, Yemen e Iran potrebbe portare a una guerra regionale su vasta scala. Secondo le valutazioni israeliane e americane, un simile scenario potrebbe portare al collasso economico e sociale in Israele, che la leadership politica sta cercando di evitare, soprattutto dopo la guerra di 12 giorni contro l’Iran, che ha posto chiari limiti alla deterrenza.

L’accordo come bypass politico

Sulla base di questi tre fattori, i recenti accordi tra Israele e Libano possono essere intesi come un accordo politico sul sistema di deterrenza. Israele, che non è riuscito a raggiungere i suoi obiettivi sul campo, sta cercando, attraverso la pressione politica e la mediazione internazionale, di ottenere altri risultati: la concentrazione delle armi nelle mani dello Stato libanese, lo smantellamento delle infrastrutture di Hezbollah e l’impedimento dei rifornimenti militari dall’Iran. Tuttavia, questo percorso incontra grandi difficoltà, poiché Hezbollah non si considera un movimento interno neutralizzabile da una vuota decisione governativa, ma piuttosto parte di un progetto regionale in cui la lotta contro Israele è un impegno ideologico e strategico.

Il sistema di deterrenza continua

In conclusione, Israele non ha invaso il sud non perché non volesse, ma perché non poteva. Il sistema di deterrenza costruito da Hezbollah con il suo sangue, le sue capacità militari e l’ampio sostegno pubblico e regionale ha impedito all’esercito israeliano di avanzare. In effetti, l’accordo proposto può anche essere visto come un riconoscimento indiretto del fallimento militare di Israele e un tentativo di raggiungere una svolta attraverso i negoziati.

Il sistema di deterrenza rimane la garanzia per prevenire una guerra totale, ed è ciò che ha imposto a Israele la necessità di coesistere al fianco di Hezbollah sul confine, altrimenti si sarebbe assunto un rischio intollerabile invadendo il sud. Qualsiasi analisi oggettiva dimostra che il potere di Hezbollah non è diminuito: al contrario, è ciò che ha costretto Israele a fare un passo indietro e cercare soluzioni politiche che gli risparmiassero l’imbarazzo di fronte all’opinione pubblica e ai suoi alleati. La Siria ne è un esempio lampante.

di Redazione

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