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Siria e la disintegrazione dello Stato

Siria – Quando Hafez al-Assad assunse ufficialmente il potere nei primi anni ’70, non si trattò semplicemente di un colpo di stato militare o di un cambio di leadership politica. Piuttosto, si trattò della creazione di un’ampia alleanza sociale che includeva le classi rurali emarginate, la borghesia urbana e la classe media. Questa alleanza formò quello che potremmo definire il “contratto sociale repubblicano”, che garantiva allo Stato una legittimità derivante dalla sua funzione sociale, non solo da slogan, e la capacità di durare per decenni. Questa capacità non può essere spiegata da una cospirazione settaria o da un colpo di stato militare. Questo potrebbe spiegare come fu preso il potere, ma non spiega come Assad abbia costruito un regime durato così a lungo in un Paese dove, prima di Assad, i colpi di stato militari si verificavano in media ogni sei mesi.

Gli strumenti a disposizione dello Stato per stabilizzare questo contratto erano: impiego pubblico per ogni laureato, sussidi per i beni di prima necessità, istruzione e assistenza sanitaria gratuite, sussidi per i beni di prima necessità e coscrizione obbligatoria a livello nazionale. Questo modello ebbe successo per decenni, ma in seguito iniziò a erodersi sotto le soffocanti pressioni regionali e globali.

Questo contratto sociale durante il primo regime di Assad ha prodotto quella che la ricercatrice Hanna Batatu chiama la “filantropizzazione dello Stato”, ovvero l’emergere di élite di origine contadina alle leve del potere, un processo sociale che ha portato a una relativa stabilità all’interno della struttura Stato-società.

Siria tra esplosione demografica e pressioni strutturali

All’inizio del terzo millennio, lo Stato siriano iniziò ad affrontare gravi sfide demografiche ed economiche dovute alle sue risorse limitate rispetto al costo di questa alleanza. Quest’alleanza non si limitava a contadini e operai, come nei paesi socialisti, ma si estendeva alle élite commerciali civili, cercando di garantirne la lealtà o almeno la neutralità politica. Ciò ne fece un ulteriore spreco di risorse statali. Per non parlare del costo delle spese militari in un Paese confinante con Israele. Le campagne siriane, principali beneficiarie dei programmi di welfare, registrarono uno dei più alti tassi di crescita demografica del mondo arabo. Tuttavia, con la ridotta capacità dello Stato di impiegare personale e l’ingresso di centinaia di migliaia di giovani nel mercato del lavoro ogni anno, iniziarono a emergere contraddizioni strutturali.

Sebbene la Siria abbia registrato elevati tassi di crescita economica tra il 2005 e il 2010, questa crescita non è stata sufficiente ad assorbire la pressione demografica e la domanda sociale di lavoro e sostegno. Sebbene l’alleanza tra Stato e commercianti sia rimasta intatta, la sua capacità di assorbire i gruppi emarginati ha iniziato a indebolirsi.

Aggressione Iraq: il settarismo come strumento coloniale

Con l’invasione dell’Iraq da parte degli Stati Uniti nel 2003, l’obiettivo non era solo quello di distruggere un esercito o cambiare un regime, ma di rimodellare la regione secondo linee pre-nazionali: settarie, etniche e regionali.

Questa invasione fu un terremoto geopolitico, le cui ripercussioni si estesero a Siria, Libano e Palestina. Le forze ostili all’asse dell’indipendenza araba si resero conto che il tessuto sociale di questi paesi era in gran parte unito e che farlo implodere dall’interno era il modo migliore per indebolire la resilienza di queste società, senza la necessità di una guerra diretta.

La Siria è stata un bersaglio diretto di questo percorso, non solo per la sua posizione geografica, ma anche per il suo ruolo centrale nell’Asse della Resistenza e per il suo rifiuto dell’egemonia israelo-americana.

Siria modello per le “guerre moderne

Ciò che è accaduto in Siria dal 2011 non è stata una “rivoluzione”, bensì – secondo gli standard militari e politici moderni – una guerra ibrida globale condotta da potenze esterne utilizzando strumenti non convenzionali:

  1. Ampio sostegno ai gruppi terroristici designati a livello internazionale.
  2. Un’enorme macchina mediatica globale che ha prodotto narrazioni dirette e fatto esplodere contraddizioni.
  3. Mobilitare fattori di identità e appartenenza per alimentare il conflitto interno.
  4. Imporre sanzioni economiche debilitanti che hanno compromesso la capacità dello Stato di fornire servizi di base.
  5. Attacchi aerei selettivi contro strutture militari e civili per perpetuare l’instabilità.

L’ex ministro degli Esteri del Qatar, lo sceicco Hamad bin Jassim, ha ammesso che gli stati del Golfo hanno speso quasi 2mila miliardi di dollari per rovesciare il regime siriano, affermando di averlo fatto in diretto coordinamento con gli Stati Uniti.

Pertanto, quanto accaduto in Siria non è stato semplicemente lo scoppio di una crisi interna, bensì il risultato della convergenza di un aggressivo progetto esterno con divari e contraddizioni sociali interne deliberatamente esagerate. In Siria l’Occidente ha utilizzato tutti gli strumenti della guerra di nuova generazione: sedizione, guerra psicologica, smantellamento delle istituzioni, sanzioni e monopolio della narrazione mediatica.

Una guerra globale contro uno Stato indipendente

Ciò a cui la Siria ha assistito non è stato altro che la più cruda espressione del desiderio delle potenze straniere di rimodellare l’Oriente arabo per adattarlo ai propri interessi egemonici. La guerra siriana è stata l’esempio più estremo della strategia di “implosione” adottata dagli Stati Uniti contro qualsiasi stato indipendente.

È stato dimostrato che non c’è bisogno di un’invasione diretta se si possono accendere contraddizioni interne, immettere armi, dirigere i media e imporre sanzioni economiche.

di Redazione

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