“Protocollo Mosquito”: Israele usa palestinesi come scudi umani
Protocollo Mosquito – Recenti resoconti della CNN e del New York Times espongono una realtà orribile: l’uso sistematico da parte dell’esercito israeliano di detenuti palestinesi come scudi umani a Gaza. Le indagini, basate su testimonianze di ex detenuti, soldati israeliani e testimoni oculari, dipingono un quadro agghiacciante di sfruttamento diffuso e sistematico di civili palestinesi, una palese violazione del diritto internazionale che costituisce un crimine di guerra per definizione.
Il rapporto della CNN, pubblicato la scorsa settimana, descrive in dettaglio l’uso di una pratica soprannominata “Protocollo Mosquito”. Un soldato israeliano, che ha parlato in condizione di anonimato, ha dichiarato alla CNN che la sua unità deteneva regolarmente palestinesi con l’intento esplicito di usarli per spostarsi in aree pericolose a Gaza, case potenzialmente piene di trappole esplosive e tunnel. Il soldato ha dichiarato: “Abbiamo detto loro di entrare nell’edificio prima di noi… se ci sono delle trappole esplosive, esploderanno loro e non noi”.
Questa agghiacciante ammissione mette a nudo il disprezzo spietato dell’esercito israeliano per le vite dei palestinesi e il suo palese disprezzo per il diritto internazionale. Questa non è una semplice tattica; è una strategia calcolata progettata per proteggere i soldati israeliani dal pericolo mentre espone deliberatamente i civili palestinesi alla morte.
Testimonianze
Il rapporto corrobora il racconto del soldato con le testimonianze di cinque detenuti palestinesi, ognuno dei quali racconta in dettaglio le esperienze di essere stato costretto da soldati israeliani, a entrare in luoghi potenzialmente pericolosi. Mohammed Saad, un ventenne di Jabalia, ha raccontato di essere stato detenuto per 47 giorni dopo essere fuggito da casa sua durante gli attacchi aerei israeliani. Saad ha descritto di essere stato utilizzato per missioni di ricognizione mentre indossava uniformi militari e aveva una macchina fotografica e un cutter per metalli. È stato costretto a entrare negli edifici, “spostare il divano, aprire il frigorifero e aprire la credenza”, esponendolo potenzialmente al pericolo.
“L’esercito ci ha portato in una jeep e ci siamo ritrovati a Rafah, in un campo militare”, ha raccontato Saad alla CNN. “Ci hanno vestiti con uniformi militari, ci hanno messo una telecamera addosso e ci hanno dato un cutter per metalli. Ci chiedevano di fare cose come spostate questo tappeto, filmate sotto le scale”.
La pratica non era limitata agli adulti. Il diciassettenne Mohammed Shbeir, arrestato dopo l’uccisione del padre e della sorella durante un raid israeliano, ha descritto di essere stato usato come scudo umano mentre era ammanettato e indossava solo i boxer. È stato costretto a entrare in case demolite, luoghi potenzialmente contenenti mine antiuomo, mettendo la sua vita in pericolo imminente.
Queste testimonianze dipingono un quadro straziante della natura sistematica del “Protocollo Mosquito”, evidenziando la vulnerabilità dei civili palestinesi di fronte alle azioni militari israeliane. La pratica non solo viola i diritti umani fondamentali, ma mina anche i principi stessi del diritto internazionale che regolano i conflitti. L’uso deliberato di civili come scudi umani è inequivocabilmente un crimine di guerra, un fatto che l’esercito israeliano sembra intenzionato a ignorare.
Disumanità israeliana
Il rapporto del New York Times, pubblicato all’inizio di questo mese, supporta ulteriormente le accuse di utilizzo di scudi umani. L’inchiesta rivela che soldati e agenti dell’intelligence israeliani costringono i palestinesi detenuti a svolgere missioni di ricognizione pericolose, spesso in aree in cui le forze israeliane sospettano che i combattenti della Resistenza possano aver teso trappole o imboscate.
Sette soldati israeliani intervistati dal New York Times hanno corroborato la pratica, descrivendola come organizzata e supportata dalla logistica militare. Un resoconto descrive un gruppo di palestinesi sfollati costretti a camminare davanti a una squadra israeliana che avanzava verso un nascondiglio di militanti a Gaza City. Jehad Siam, un grafico palestinese di 31 anni che faceva parte del gruppo, ha descritto il terrore e la paura di essere costretti a mettersi in pericolo.
“Ci hanno detto che stavano cercando dei tunnel. Ci hanno detto che se ci fossimo rifiutati di andare, ci avrebbero sparato”, ha dichiarato Siam al New York Times.
Le indagini offrono prove convincenti di un modello sistematico di utilizzo di civili come scudi umani. Le giustificazioni fornite dagli ufficiali di grado inferiore, che etichettano i palestinesi detenuti come “terroristi”, sono palesemente false e servono a disumanizzare ulteriormente i civili palestinesi e a legittimare il loro sfruttamento.
Silenzio israeliano sul “Protocollo Mosquito”
Le testimonianze di entrambi i rapporti evidenziano un modello di coercizione, manipolazione e disprezzo per i diritti fondamentali dei detenuti palestinesi. Sono stati privati della loro agenzia, costretti a partecipare a operazioni militari senza alcun riguardo per la loro sicurezza o il loro benessere.
L’esercito israeliano non ha ancora rilasciato una risposta formale a nessuno dei due resoconti. Tuttavia, il peso delle prove presentate dalla CNN e dal New York Times richiede un’indagine approfondita da parte di un organismo internazionale indipendente. Il silenzio di Israele non fa che rafforzare le accuse e sollevare preoccupazioni su potenziali tentativi di insabbiamento.
La comunità internazionale ha la responsabilità di ritenere Israele responsabile delle sue azioni e di garantire che i responsabili di queste violazioni eclatanti siano assicurati alla giustizia. Il continuo silenzio e l’inazione su questa questione non fanno che incoraggiare Israele e mettono ulteriormente a repentaglio la sicurezza e la protezione dei civili palestinesi.
Le storie di Mohammed Saad, Mohammed Shbeir, Jehad Siam e innumerevoli altri palestinesi usati come scudi umani devono essere ascoltate. Le loro testimonianze servono come un potente promemoria delle brutali realtà dell’occupazione israeliana e dell’urgente necessità di responsabilità e giustizia. Solo attraverso la pressione internazionale e indagini indipendenti possiamo sperare di porre fine allo sfruttamento sistematico dei civili palestinesi e garantire che i loro diritti umani fondamentali siano rispettati.
di Redazione