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Sanità pubblica, un gioco al massacro

Sanità pubblica – Nel 2020, medici e infermieri venivano omaggiati nelle prime pagine dei quotidiani che li definivano “Eroi”. Sono passati quasi tre anni e di acqua sotto i ponti ne è passata tanta.

Governi accodati alla retorica della stampa promettevano che “nessuno sarebbe rimasto indietro” e che la sanità pubblica si sarebbe fatta trovare pronta, semmai vi fosse stata una nuova pandemia. La vita è tornata quella di prima, si è tornati a viaggiare, a riunirsi, rivedersi anche se il virus è sempre lì.

Il virus, oltre ad aver mietuto vittime ha fatto anche altro, ha squarciato il velo dell’ipocrisia sotto la quale la politica aveva sepolto la sanità pubblica. Quello che è venuto fuori dalla pandemia è un quadro desolante: gli ospedali sono al tracollo, i posti letto sono pochi, il personale non basta e chi può scappa nel privato con migliori stipendi e migliori orari.

Sanità pubblica, un disastro annunciato

Tra il 2010 e il 2020 in Italia sono stati chiusi 111 ospedali e 113 Pronto soccorso, tagliati 37 mila posti letto. C’è un iper afflusso al Ps perché è l’unica risposta che i cittadini trovano, si crea un accumulo di pazienti per l’impossibilità di ricoverare chi ne ha necessità, siano essi acuti o cronici.

Con la pandemia ci sono stati interventi parziali per mettere toppe, come l’aumento dei contratti di formazione specialistica, e il tentativo di costruire un modello territoriale sui servizi e le Case della comunità (anche se mancavano le risorse per le assunzioni).

Si assiste a quella che potrebbe essere definita “pandemia professionale” con politiche come la Flat Tax che invoglia la libera professione e il lavoro a cottimo. Al momento l’unico progetto è il “dm77” di Roberto Speranza dove si affronta la sfida della riorganizzazione della medicina territoriale e il modello organizzativo ruoterebbe intorno al Distretto Sanitario e le famose Case della Comunità. Entro il 2026 dovrebbero nascere 1.350 Case della Comunità, erano di più ma il “governo dei migliori” ha provveduto a tagliarne un bel po’. 

Cosa sono le Case della Comunità

Le Case della Comunità sono “hub” (una ogni 40mila-50mila abitanti) che prevedono l’assistenza medica (h 24 – 7 giorni su sette) ed infermieristica (h 12 – 7 giorni su sette), mentre quelle “spoke” dovranno garantire, insieme ad altri servizi come il Punto Unico di Accesso (PUA), il collegamento con il CUP aziendale e la presenza medica e infermieristica (12 ore al giorno – 6 giorni su sette).

Al fine di evitare ricoveri ospedalieri impropri e/o di favorire dimissioni protette in luoghi più idonei al prevalere di fabbisogni assistenziali, di stabilizzazione clinica, di recupero funzionale e dell’autonomia e più prossimi al domicilio degli assistiti vengono istituiti gli Ospedali di Comunità che svolgono proprio la funzione di facilitare la transizione dei pazienti dalle strutture ospedaliere per acuti al proprio domicilio.

di Sebastiano Lo Monaco

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