4 Novembre, Giorno dell’Unità Nazionale e Giornata delle Forze Armate: “La memoria serve a dimenticare”
A novantotto anni dalla fine della grande guerra continuano numerosissime le commemorazioni del 4 novembre, festa nazionale dal 1919 fino al 1977, poi divenuta festa mobile che cade nella prima domenica di novembre. La data, che celebra la fine vittoriosa della guerra, commemora la firma dell’armistizio siglato a Villa Giusti (Padova) con l’Impero austro-ungarico ed è divenuta la giornata dedicata alle Forze Armate, come recita il sito del Ministero delle Difesa che dedica alla ricorrenza il giusto posto che le compete con alcune pagine illustrative ed un video. Non è nostra intenzione vedere nelle celebrazioni del 4 novembre una retorica festa militarista, ma è nostra volontà offrire alcune riflessioni sull’argomento.
“La memoria serve a dimenticare” – recita lo storico paradosso del francese Pierre Chanoux. Dimenticare, rimuovere, ciò che è inconcepibile, irraccontabile come una guerra. La guerra fu “un’inutile strage”, che ebbe come epilogo una vittoria ancora celebrata. Vittoria di chi? Dei 640.000 soldati italiani che persero la loro giovane vita? Oppure quella di milioni di mutilati, orfani e vedove? O fu la vittoria dei costruttori e venditori di armamenti? Oppure dei governi che decretarono l’entrata nel conflitto dell’Italia contro gran parte dell’opinione pubblica?
Non è questa la sede di elencare le nuove armi, o le vittime di armi chimiche (100.000 austro-ungarici, 190.000 francesi, 200.000 tedeschi, 60.000 italiani, 419.340 russi e 72,807 americani) ma è opportuno ricordare e affermare con lo studioso Oswald Überegger che: “La storia della violenza nella prima guerra mondiale nella stretta accezione di storia della violazione del cosiddetto diritto delle genti, del diritto consuetudinario e nelle sue diverse forme di guerra ai civili – eccidi, deportazioni, stupri, lavoro coatto – , per lungo tempo non è stata al centro né del discorso pubblico né dell’indagine storiografica”.
Gli orrori di guerra commessi dal nemico furono strumentalizzati già nel corso della guerra, a fini propagandistici ed anche la persecuzione legale dei crimini di guerra nella sostanza fallì, sicché dopo la guerra fu posta rapidamente fine alla questione. Tra le due guerre vennero a mancare le condizioni generali per occuparsi seriamente del problema e successivamente le versioni ufficiali di storia militare e politica, realizzate per lo più da militari, si limitavano ad una quantificazione di vittime in una astratta “storia di battaglie”.
Solo a partire dagli anni Novanta, per una serie di ragioni, in particolare la progressiva distanza dall’evento storico, una nuova riflessione critica e infine il ritorno della guerra in Europa – nei Balcani – la storiografia ha focalizzato la sua attenzione sulle atrocità di guerra, anche in relazione alla Prima Guerra mondiale, pur rimanendo centralizzata su singoli episodi e territori, ad esempio il genocidio degli Armeni e le atrocità tedesche in Belgio e nella Francia del Nord nel 1914.
Cerchiamo dunque di ricordare il triste anniversario come il momento per ripensare ad un’inutile strage, non certo per celebrare una “vittoria”, per ripensare ad altre guerre che si stanno combattendo tra atrocità inaudite, ricordando che le ferite profonde di guerre e ingiustizie non si rimarginano finché non si riesce a portarle alla luce in una presa di coscienza che cementa la memoria collettiva e impedisce agli Italiani “brava gente” di essere bugiardi per tradizione.