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A Maks 2015 si ridisegnano gli equilibri geopolitici mondiali

di Salvo Ardizzone

Le manifestazioni espositive di sistemi d’arma sono state da sempre il palcoscenico dove si sono strette alleanze e manifestate fratture fra le Nazioni, perché sono quelle forniture, e le assistenze e le collaborazioni che comportano, a disegnare più d’ogni altra cosa le linee geopolitiche che le muovono. Fino a un passato recente, erano i grandi saloni espositivi occidentali in Francia, Inghilterra e poi quelli del Golfo, ad essere la passerella su cui i potenti intessevano rapporti e stabilivano le proprie aree di influenza scandite da contratti miliardari, il tutto all’ombra dell’onnipresente bandiera a Stelle e Strisce. Ma il mondo cambia ed è ormai divenuto una struttura multipolare, in cui sono diverse le Nazioni che si sviluppano seguendo una via propria, rifiutando l’eterno servaggio d’oltre Atlantico.

Allora è ovvio che esse, o perlomeno quelle tecnologicamente più avanzate, mettano in campo manifestazioni alternative a quelle gestite da un Occidente succube di Washington, e quegli eventi sono occasioni d’incontri per stabilire rapporti commerciali, certo, ma che hanno dietro una doppia valenza politica: quella intrinseca all’oggetto dei contratti, armi sofisticate ed assistenza per il loro uso, che di per sé comporta una vicinanza d’intenti e di vedute; e quella più ampia, perché questi accordi avvengono al di fuori della sfera d’influenza e d’interessi dello Zio Sam, e spesso sono loro contrapposti.

È il caso del Maks 2015, il salone espositivo dell’aviazione e dell’aerospazio che si tiene ogni due anni all’aeroporto Ramenskoye, nei pressi di Mosca. La manifestazione, che s’è aperta martedì e durerà fino a sabato, è stata già occasione d’incontri di “peso” fra leader e delegazioni di varie parti del mondo e la dirigenza russa. Mercoledì, il presidente egiziano al-Sisi, nella seconda visita a Mosca in due mesi, ha incontrato Putin: hanno discusso della situazione mediorientale e del terrorismo che insanguina e destabilizza quell’area, condividendo l’importanza di stroncarlo. Ma s’è discusso anche di affari “pesanti”, come la costruzione di una centrale nucleare in Egitto e la fornitura di aerei di linea Sukhoi Superjet 100 alla compagnia di bandiera egiziana che deve rinnovare la flotta.

Al-Sisi, che sin’ora si è saputo vendere al miglior offerente per rimanere in sella, spillando somme da capogiro ai suoi sponsor del Golfo e mantenendo aperto il flusso degli aiuti Usa, adesso vede gli equilibri dell’intero Medio Oriente rivoluzionati dagli accordi sul nucleare iraniano e Riyadh traballare sotto l’impatto della nuova situazione. La casa reale saudita è indebolita, in crisi anche per due ulteriori fattori: l’azzardo dell’aggressione allo Yemen, che si sta traducendo in una bruciante sconfitta politica e militare, e le quotazioni del petrolio sempre più basse per la guerra dei prezzi che essa stessa ha innescato, e che sta falcidiando le rendite da cui dipende totalmente.

Al-Sisi, da quel cinico opportunista che è, intende riposizionarsi garantendosi una solida sponda politica prima che sia tardi, e la Russia sarebbe il partner ideale. Ma accanto al summit fra il Presidente egiziano e Putin, sono altri gli eventi destinati a lasciare il segno: da lunedì è a Mosca una delegazione iraniana guidata dal vicepresidente Sourena Sattari, per discutere su un nutrito carnet di argomenti. Per prima cosa, con tutta probabilità sarà definita la fornitura dei sistemi missilistici contraerei S-300; il contratto era stato firmato nel 2007, ma nel 2010 era stato bloccato dal quarto round di sanzioni comminate dall’Onu per il programma nucleare iraniano. Allora la situazione politica internazionale era assai diversa, ma le cose cambiano e nell’aprile scorso Putin ha sbloccato quella fornitura.

Resta il nodo della causa intentata da Teheran a Mosca per la mancata consegna di quei missili: la Russia vorrebbe che fosse immediatamente ritirata, l’Iran intende farlo quando ci saranno le prime forniture. Secondo alti funzionari russi è probabile che a giorni si trovi un accordo, e che ad essere consegnati saranno sistemi d’arma aggiornati. Quegli S-300, tanto osteggiati dagli Usa e soprattutto da Israele, blinderanno i cieli iraniani, impedendo qualunque blitz “preventivo” da parte di Tel Aviv o di chiunque altro, cambiando gli equilibri militari della regione. Ma non è l’unico affare di cui si occuperà la delegazione: l’Iran ha urgente bisogno di rinnovare la sua linea di aerei da combattimento, resa obsoleta da tanti anni di sanzioni. La Francia, con incredibile faccia tosta, s’era precipitata ad offrire i suoi Rafale e l’assistenza tecnica relativa, ma Teheran non dimentica la posizione tenuta da Parigi durante tutte le trattative del 5+1, schiacciata sulle tesi di Riyadh grazie ai contratti miliardari assicurati dai sauditi. In una fornitura di sistemi d’arma così importante, oltre al prezzo ed alla validità dei mezzi, conta, e tanto, l’affidabilità del fornitore, per non correre il rischio di vederne bloccata l’operatività per un’improvvisa sospensione dell’assistenza e di un blocco dei pezzi di ricambio.

La Francia non dà certo garanzie, anzi, così l’Iran s’è rivolto alla Russia, ed è in avanzata discussione la fornitura di Sukhoi-30, un caccia multiruolo bimotore altamente affidabile, ottimo per le esigenze iraniane. Malgrado le ovvie reticenze nel dichiararlo, al Maks 15 è stato al centro delle discussioni e a breve dovrebbero esserci sviluppi. Molto più avanzate sono le trattative per il rinnovo dell’intera flotta di trasporto regionale delle compagnie aeree iraniane; l’aereo in questione è ancora il Sukhoi Superjet 100, un bimotore da cento posti prodotto con componenti per l’80% russi e per il restante forniti da Airbus (con una forte collaborazione italiana). A detta dei funzionari iraniani, in ballo c’è la fornitura di 400 velivoli nel prossimo decennio, per un importo di oltre 20 Mld di dollari.

Secondo indiscrezioni, i primi tre aerei dovrebbero essere consegnati già nel 2016. Come si vede, i vecchi equilibri cristallizzati da sempre, che vedevano un Occidente arrogante quanto autoreferenziale dettare la propria legge sotto le bandiere a Stelle e Strisce, sono in frantumi e sempre nuove realtà si sviluppano fuori da quegli schemi di sudditanza. Alleanza, sinergie, collaborazioni: è tutto un crescendo di iniziative ed opportunità, da cui la vecchia Europa, ottusamente schiacciata sugli interessi di Washington, si è auto esclusa consegnandosi alla marginalità.

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