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I viaggi di Obama e gli interessi dei poteri forti a Stelle e Strisce

di Salvo Ardizzone

Nei suoi viaggi di fine Presidenza, Obama tenta di dare fondamenta ai suoi mandati, cercando un futuro alle sue politiche; in Arabia Saudita, Gran Bretagna e Germania ha ribadito le tesi della sua Amministrazione, la gran parte delle quali destinate a rimanere anche nella prossima, per la semplice ragione che le posizioni della Casa Bianca rispecchiano gli interessi di quei poteri forti a Stelle e Strisce che da sempre guidano la politica Usa.

Al di là dei singoli temi, la visita a Riyadh ha ribadito come la storica intesa con i Paesi del Golfo sia ai minimi storici per il fatto che quell’area non è più considerata primaria per i nuovi interessi Usa, proiettati sul Pacifico. I troppi problemi, e il troppo gravoso impegno per gestirli, spingono Washington ad un parziale disimpegno che terrorizza le petromonarchie e spinge al parossismo l’aggressività di Israele, che si sentono traditi da chi li ha sempre protetti e che adesso non trova più conveniente continuare a farlo.

A Londra Obama non poteva essere più chiaro con un Cameron traballante per le rivelazioni dei Panama papers, che ha un disperato bisogno d’appoggio. A un’Inghilterra autoreferenziale, che si trastulla con il referendum sulla Brexit contando sul vantato rapporto speciale con gli Usa, ha detto rudemente che quel legame è esistito perché ha permesso agli Stati Uniti di tenere meglio le redini dell’intera Europa; se Londra uscisse dalla Ue non avrebbe più alcuna utilità per le strategie di Washington. Rimarrebbe solo ciò che è: uno Stato come tanti, che in più ambisce a divenire una piazza per l’economia globale, vale a dire a fare concorrenza a Wall Street, colpa imperdonabile agli occhi dello Zio Sam. E per dirlo non si è preoccupato di entrare a gamba tesa in una delicata campagna elettorale, incurante delle inviperite reazioni di chi la Brexit la sogna.

In Germania ha concluso il suo tour con la visita politicamente più pesante: se nel Golfo c’è stato per ribadire il tramonto di una politica e in Inghilterra per richiamare al suo ruolo chi pensava d’essere importante, la due giorni tedesca è servita per ribadire che per la Casa Bianca adesso è Berlino a contare più di Londra.

La Germania è considerata indispensabile per mantenere il controllo sull’Europa, a maggior ragione ora che l’Inghilterra insegue sogni d’uscita dalla Ue; ma il momento è delicato per la sua leadership alle prese con la crisi politica sui migranti che ne sta minando il consenso; di qui la più ampia investitura concessa alla Merkel, ricoperta di elogi fino all’imbarazzo. L’intenzione è legarla a Washington, archiviando le passate contrapposizioni e facendone il proprio strumento per dominare l’Europa e contrapporsi a Putin, vincendo le resistenze dell’industria tedesca che quelle sanzioni non le vuole.

Insomma, l’investitura di una relazione speciale, che passa da Londra a Berlino. Come contropartita ad una leadership in difficoltà a cui dà pieno appoggio, Obama chiede alla Merkel di spendersi nei negoziati per l’approvazione del Ttpi, in corso ormai da anni e giunti alle strette finali malgrado la resistenza di diversi Paesi che vedono in quel trattato una mazzata per le proprie economie.

Il Presidente Usa sa bene di avere poco tempo per farlo approvare, e sa pure che negli Usa solo il 15% degli elettori è favorevole, come d’altronde nella stessa Germania soltanto il 17% dei tedeschi l’accetta; ma è un colossale regalo a cui le multinazionali e la finanza globale non intendono rinunciare, e solo un Presidente che non ha problemi di rielezione può spendersi senza riserve per esso.

Per questo intende spingere fino in fondo per la sua approvazione adesso, facendo affidamento sul sostegno di una Merkel in difficoltà, che ha bisogno di una sponda internazionale potente come la Casa Bianca per puntellare il suo potere che ora scricchiola.

Il G5 che si è tenuto ad Hannover, presenti la Cancelliera tedesca, Hollande, Cameron e Renzi, è servito a questo, a rafforzare la presa di Washington su leader in affanno, e riaffermare la sudditanza dell’Europa verso gli Usa.

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