Bombe a grappolo, non si fermano gli investimenti
Le bombe a grappolo (cluster bombs), le micidiali armi da guerra che uccidono e feriscono migliaia di civili innocenti, sia al momento del loro utilizzo che nei mesi ed anni successivi, lasciando una scia di morte dietro di sé. Una volta rimaste inesplose sul terreno, le sub-munizioni rilasciate dalle cluster bombs diventano vere e proprie mine antiuomo.
Una cluster bomb non esplosa mantiene la sua potenzialità letale praticamente all’infinito e diventa molto più pericolosa di una mina antiuomo in quanto può esplodere alla minima sollecitazione anche casuale, con effetti letali tre volte superiori a quelli della più potente mina ad azione estesa ad oggi conosciuta. Inoltre, in un conflitto vengono utilizzate indiscriminatamente anche in aree abitate o nelle loro immediate vicinanze, con la conseguente contaminazione che rallenta la fase di ricostruzione post-conflitto, la coltivazione dei campi, l’accesso ai pascoli, ai pozzi e rende mortalmente insicure strade, scuole ed abitazioni.
Utilizzate in oltre 30 Paesi, le bombe a grappolo hanno ucciso e ferito decine di migliaia di civili e devastato il sostentamento di molte più persone. Più di 380 milioni di piccole bombe sono state utilizzate in Cambogia, Laos e Vietnam nel 1970 e molte di queste stanno ancora uccidendo le persone. Negli ultimi dieci anni, le bombe a grappolo sono state usate in Albania, ex Jugoslavia, Repubblica Democratica del Congo, Iraq, Afghanistan, Libano, Yemen, Georgia e Libia.
Bombe a grappolo utilizzate da Israele in Libano
Nell’ultimo conflitto nel sud del Libano, ad esempio, il 60% delle cluster bombs è stato lanciato nelle immediate vicinanze di centri abitati o villaggi. Sempre nello stesso conflitto, la stima del numero delle munizioni inesplose, come segnalato dal Mine Action Coordination Center delle Nazioni Unite nel sud del Libano superava verosimilmente il milione di ordigni.
Dopo anni di vittime e di Paesi contaminati da queste bombe, finalmente nel 2008 è arrivata una Convenzione che proibisce l’uso, la produzione, il trasferimento e lo stoccaggio di munizioni a grappolo. Inoltre, stabilisce un quadro di cooperazione e di assistenza per garantire un’adeguata assistenza e riabilitazione ai sopravvissuti e alle loro comunità, eliminazione di aree contaminate, educazione alla riduzione del rischio e distruzione dei depositi.
Adottata il 30 maggio 2008 a Dublino (Irlanda) e firmata il 3-4 dicembre 2008 a Oslo (Norvegia), la Convenzione sulle munizioni a grappolo è entrata in vigore il primo agosto 2010. L’Italia, uno dei Paesi produttori delle bombe a grappolo con la Simmel-Difesa di Colleferro, ha sottoscritto l’accordo, ma lo ha ratificato solo il 22 settembre 2011. L’Italia, inoltre, è tra i 70 Paesi detentori di stock di cluster bombs.
In barba alla Convenzioni
In barba alla Convenzione, e alle manifestazioni dei pacifisti contro le bombe a grappolo, 139 istituzioni finanziarie continuano a investire nella produzione di bombe a grappolo. Lo riferisce un rapporto del gruppo olandese IKV Pax Christi, intitolato Worldwide Investments in Cluster Munitions, pubblicato per incoraggiare la Danimarca e gli altri governi a legiferare contro questi tipi di investimenti esplosivi.
Le istituzioni sia pubbliche che private hanno sede in 13 Stati differenti: 67 sono registrate negli Stati Uniti, 2 in Corea del Sud e 19 in Cina, Paesi che non hanno sottoscritto la Convenzione per la messa al bando delle cluster. Tra le 139 istituzioni finanziarie di tutto il mondo che hanno investito miliardi di dollari in produzioni di munizioni a grappolo dal giugno 2010, il rapporto ha elencato la Royal Bank of Scotland, UBS, Deutsche Bank e Goldman Sachs.
A finanziare la produzione degli ordigni, si sottolinea nel documento, sono anche 22 società di Paesi firmatari: Canada, Francia, Germania, Svizzera e Gran Bretagna. I 24 miliardi di dollari sono stati investiti nella produzione di bombe a grappolo tra il 1 giugno 2010 e il 31 agosto 2013.
Secondo Roos Boer, co-autore del rapporto, l’impegno contro le bombe a grappolo va comunque intensificato. “Continuare a finanziare la produzione di questi ordigni vietati – ha scritto l’esperto – è inaccettabile da un punto di vista etico: sia i governi che le istituzioni finanziarie devono metterli al bando una volta per tutte”.
di Cristina Amoroso