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Migranti utilizzati come arma

Quella dei migranti è una piaga antica, un fenomeno doloroso ma fino a qualche tempo fa relativamente circoscritto, che l’Europa ha volutamente ignorato limitandosi a ipocrite dichiarazioni di circostanza e a impegni poco più che simbolici, lasciandone il carico sulle spalle dei Paesi che ne erano investiti, Italia in testa. Un fenomeno rimosso, che solo qualche dramma nel Mediterraneo spostava nelle Cancellerie, salvo sparire non appena l’attenzione mediatica si spegneva.

Così è andata per anni fino a che, all’improvviso, alla consueta via mediterranea, tracciata da scafisti privi di scrupoli e fatta di sbarchi di disperati e naufragi, se n’è imposta alle cronache un’altra, assai più imponente: quella che dalla Turchia rovescia masse di disperati sui Balcani. Una folla in fuga dalle guerre che s’incammina verso il nord, dinanzi alla quale l’Europa degli Stati balbetta e quella degli egoismi innalza muri.

A ben guardare, però, questa nuova e più numerosa folla che rischia di travolgere la Ue e i suoi bizantinismi, è ben diversa da quella che varca il Canale di Sicilia: in buona parte è fatta da siriani, in larga misura borghesi istruiti fra cui molti sono capaci d’esprimersi in inglese e appartengono alla classe media, costretti a fuggire dall’arrivo dei “ribelli” in vaste aree del Paese, e con loro ci sono molti curdi.

Dinanzi al fenomeno, repentino nella sua dimensione, la domanda che nessuno s’è posto, quantomeno ufficialmente, è: come mai la Turchia, che ha assorbito circa due milioni di profughi dal 2011 in campi allestiti presso la frontiera siriana, proprio adesso li spinge a fuggire?

Il motivo è per lo meno duplice: da un canto, allontanare gente che potrebbe tornare in Siria per aiutare nella ricostruzione di un Paese, o contribuire all’edificazione di un’entità curda ai confini con la Turchia, è un obiettivo altamente pagante per Erdogan, che della distruzione e del successivo smembramento della Siria ha fatto la base della sua politica estera.

Ma assai più rilevante è la seconda motivazione, che s’aggiunge alla prima: la decisione politica, perché di questo si tratta, di rovesciare sull’Europa masse di migranti, aggiungendo ai siriani gli afghani un tempo trattenuti, è uno strumento per condizionare la Ue, facendo pressione perché al-Assad sia abbandonato e la Siria abbia una nuova sistemazione coerente alle ambizioni di Erdogan. In ogni caso, è un modo per divenire nuovamente un interlocutore privilegiato, dopo che il suo comportamento inaffidabile quanto incompatibile con la democrazia, lo avevano completamente emarginato.

E che si tratti di uno strumento di pressione efficace lo dimostra il viaggio della Merkel, corsa accanto a Erdogan alla vigilia delle elezioni turche, scordando opposizione perseguitata, media imbavagliati, l’appoggio dato all’Isis, il massacro dei curdi e i tanti scandali; un viaggio che è stato un colossale spot elettorale per il “sultano”, che s’è visto offerto miliardi di euro e un riconoscimento politico impensabile fino a qualche mese fa.

Insomma: migranti usati come armi, con un rivoltante cinismo reso efficace dalla vigliaccheria e dalla consueta incapacità europea d’articolare una risposta politica.

di Salvo Ardizzone

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